Florilegio - Selma Meerbaum-Eisinger - E-Book

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Selma Meerbaum-Eisinger

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Beschreibung

Nel 1948 una ragazza giunge in Israele portando con sé, come ricordo dell’amica più cara, un manoscritto contenente una raccolta di poesie. Ripercorrendo le vicende di tale opera e della sua graduale fortuna letteraria, questo libro presenta la struggente spontaneità e la voglia di vivere di Selma Meerbaum-Eisinger (1924-1942), insieme alle sue domande sull’amore e sulla morte. In una nuova traduzione, le liriche sono qui proposte nella versione filologicamente più fedele all’originale e completate dalle immagini, finora inedite in Italia, che Selma Meerbaum scelse a commento della propria antologia.

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Selma Meerbaum-Eisinger, Florilegio

Copyright© 2015 Edizioni Forme Libere

Gruppo Editoriale Tangram Srl

Via Verdi, 9/A – 38122 Trento

www.forme-libere.it – [email protected]

Collana “I Quaderni del Gheriglio” – NIC 01

Titolo originale:

Selma Meerbaum-Eisinger, Blütenlese, Rechovot, ed. privata, 1976

Prima edizione digitale: agosto 2015

Traduzione: Francesca Paolino

ISBN 978-88-6459-060-8 (Print)

ISBN 978-88-6459-995-3 (ePub3)

ISBN 978-88-6459-994-6 (mobi)

In copertina:

dettaglio dalla copertina originale dell’album manoscritto e immagine di Selma Meerbaum

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Ad Agostino, dolcissimo fior di neve

Introduzione

La casa in uno zaino

Le vicissitudini grazie alle quali l’opera di Selma Meerbaum-Eisinger è giunta fino ai nostri giorni hanno dell’incredibile.

Se il mondo poetico di questa sognante adolescente rimane certamente nella sua raccolta di liriche, così anche il suo attaccamento alla vita e la sua caparbietà sembrano prolungarsi nelle rocambolesche vicende dell’oggetto fisico cui i suoi scritti furono affidati, un semplice album con la copertina a fiori.

È come se questo album fosse stato lanciato con forza inaudita attraverso gli anni a venire così da rompere la cortina dell’oblio, attraversando i silenzi del dopoguerra, i pregiudizi sulla lingua tedesca e sulla giovane età di chi lo creò. Furono mani amiche a salvare dalla distruzione la piccola antologia personale di Selma.

Nell’inverno 1941/1942, poco tempo prima di essere deportata in Transnistria, Selma copiò alcune sue composizioni poetiche su un album che affidò a un uomo, rimasto sconosciuto, perché lo consegnasse a Else Schächter-Keren, l’amica con cui Selma si era confrontata tante volte su questioni stilistiche e sui poeti preferiti. L’anonimo ambasciatore recapitò l’oggetto con le seguenti parole:

Devo darle questo da parte di Selma. Me lo ha dato di nascosto stamattina, quando l’hanno portata via con i genitori. Abbia la cortesia di inoltrarlo a Fichman, l’amico di Selma [1].

Dall’autunno del 1941 Leiser Fichman – il ragazzo di cui Selma era innamorata senza essere seriamente ricambiata – era stato destinato al lavoro coatto fuori città. Ella non lo avrebbe più rivisto. Dopo i rastrellamenti nel Ghetto di Czernowitz, Leiser tornò a casa ed Else riuscì a fargli avere l’album.

Costretto nuovamente a tornare al lavoro per scavare trincee, Fichman conservò il manoscritto di Selma fino a quando, poco prima dell’arrivo delle truppe russe sulla Prut (21-27 marzo 1944), riuscì a fuggire dall’Arbeitslagerin cui si trovava e a raggiungere nuovamente Czernowitz per partire poi verso il Mar Nero. Conscio dei pericoli che lo attendevano, egli restituì l’album a Else, comunicandole la ferma intenzione di trovare una nave che lo portasse in Palestina.

La scelta di affidare nuovamente le poesie a Else fu quanto mai provvidenziale: “Leisiu” morì agli inizi di agosto sul Mefkuré [2], un’imbarcazione diretta in Oriente che affondò ancora prima di raggiungere il Bosforo.

A Czernowitz, sempre nel 1944, Else Schächter-Keren, scampata alle deportazioni, incontrò Reneé Abramovici-Micaeli, la migliore amica di Selma, rientrata dopo la fuga dal campo di Obadovka: le cedette l’album con le poesie ed ebbe in cambio l’ultima lettera che Selma aveva scritto durante la lunga permanenza alla cava di pietra, prima del trasferimento nel lager di Michailovka.

Reneé voleva andare a ovest: con l’album di Selma nello zaino attraversò, in parte a piedi e in parte su mezzi di fortuna, la Polonia, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, l’Austria e parte della Germania arrivando infine a Parigi.

Nel 1948 ella giunse in Israele in nave, perdendo la valigia che aveva provveduto a spedire in anticipo. Le poesie di Selma, scritte nel tedesco della Bucovina – la “Mutterland Wort” di Rose Ausländer, il terreno in cui tutti gli sradicati poeti bucovini sopravvissuti alla Shoah poterono ritrovare sostanza, nutrimento e identità – viaggiarono al sicuro nel bagaglio a mano di Reneé: con esse, brandelli sussistenti di un mondo ormai scomparso, emigrarono gli anni felici di Czernowitz, innestati come una talea sul tronco millenario della Terra dei Padri. Ha detto più volte Reneé:

con le poesie di Selma ho fatto viaggiare la mia casa e l’ho portata fin qui [3].

Storia del corpus

Per più di vent’anni la grande editoria non seppe nulla delle poesie portate in salvo da Reneé, data anche l’avversione collettiva nei confronti della lingua tedesca. Soltanto verso la fine degli anni ’60 la pubblicazione nella Repubblica Democratica Tedesca di un’antologia poetica contenente le opere di ebrei che avevano vissuto la persecuzione attirò l’attenzione di Hersch Segal, il professore di matematica di Selma, residente da diverso tempo a Rechovot. Incuriosito, egli rintracciò le ex-allieve che si trovavano in Israele e, venuto a conoscenza dell’album in possesso di Reneé Abramovici, volle curarne personalmente un’edizione quale omaggio al talento dell’allieva morta in Transnistria: iniziativa che fu preludio della prima edizione pubblica assoluta – curata dall’Università di Tel Aviv – e poco dopo alla prima edizione in Germania.

Il manoscritto

L’album originale copiato a mano da Selma Meerbaum-Eisinger è oggi [4] conservato a Gerusalemme presso lo Yad Vashem, il Memoriale dei martiri e degli eroi dell’Olocausto.

Esso consta di una copertina rigida, cartonata, sopra la quale è incollato un foglio di carta da regalo con motivo floreale su fondo azzurro, e di un gruppo di fogli tenuti insieme da un cordoncino nero fatto passare per due fori praticati su uno dei due lati corti di ogni singola pagina. Il primo foglio immediatamente successivo alla copertina – non numerato – riporta il titolo tedesco originale della raccolta, Blütenlese, scritto a mano libera da Selma con grandi caratteri in stile gotico-rumeno, insieme a una citazione in rumeno tratta dal romanzo Lorelei di Ionel Teodoranu [5]: “Cânt răguşit pe sub ferestrele casei tale, cum cântă copii italieni pe străzile oraşelor noastre, în mizeria frumuseţii lor cu ochi mediteranieni” [6]. Il secondo foglio, altrettanto privo di numerazione, contiene la dedica a LeiserFichman.

Seguono 159 pagine numerate a mano, scritte su un solo lato, e una quarantina di fogli privi di qualsiasi segno o dicitura. La prima pagina numerata riporta in corsivo il titolo Der Blütenlese/erster Teil; [Florilegio/prima parte] seguono 63 testi manoscritti suddivisi in:

57 composizioni in tedesco (52 poesie originali di Selma Meerbaum, 2 traduzioni dallo yiddish, 2 traduzioni dal francese e 1 traduzione dal rumeno),3 testi in yiddish (1 poesia originale di Itzik Manger, 1 poesia originale di Halper Leivick e 1 traduzione in yiddish da un testo di Paul Verlaine)2 poesie in versione originale francese di Paul Verlaine1 lirica in rumeno di Discipol Minhea

Le poesie sono trascritte in corsivo, con inchiostro nero, la grafia è piccola e ordinata; il corpo delle composizioni è centrato sulla pagina, con i titoli per lo più leggermente spostati verso il margine sinistro dei fogli.

I 3 testi in yiddish, i 2 in francese e quello in rumeno sono copiati subito prima o subito dopo le rispettive versioni in tedesco. Dei 57 testi in tedesco, 53 riportano la data di stesura: 7 poesie risalgono al 1939, 9 al 1940 e ben 37 al 1941. Esse non sono state copiate seguendo l’ordine cronologico di composizione, ma sono raggruppate – tutte tranne Canto, la prima poesia del manoscritto – in piccole sezioni concepite secondo un criterio tematico. Ciascuna di queste sezioni è preceduta da una pagina bianca, numerata, su cui compare, più vicino al margine superiore destro dei fogli, il titolo (il nome di una varietà di fiori) del gruppo di componimenti che seguono. Le sezioni sono così articolate:

Florilegio – prima parte: Canto, Fiori di melo (poesie 2-4), Lillà scuri (poesie 5-16), Morelle (poesie 17-28), Garofani rossi (poesie 29-32), Astri (poesie 33-34), Vessilli (poesie 35-37), Orchidee esotiche (poesie 38-42)

Florilegio – seconda parte: Fiori di tè (poesie 43-44), Crisantemi bianchi (poesie 45-51), Papaveri selvatici (poesie 52-57), Papaveri da oppio.

Tra le pagine del manoscritto Selma inserì qua e là alcune immagini, fogli non numerati con disegni e riproduzioni di opere pittoriche per un totale di 12 illustrazioni: 4 disegni erano stati ritagliati da un album di riproduzioni del pittore di Czernowitz Mosche Krinitz [7], altri 4 disegni erano probabilmente originali dello stesso artista mentre le restanti 4 illustrazioni riproducono opere di altri pittori.

La poesia che nel manoscritto risulta essere stata composta per prima (ma trentacinquesima nell’ordine di copiatura) risale al maggio-giugno del 1939, l’ultima (quarantaseiesima nell’album) al 24 dicembre 1941. È certo che nel periodo compreso tra queste due date Selma scrisse, spesso di getto, molti più testi, come è stato confermato da Reneé Abramovici:

Selma non modificava mai nulla, le poesie nascevano da lei con grande spontaneità, spesso ne scriveva quattro o cinque nello stesso giorno… [8]

I componimenti nel manoscritto rappresentano dunque una selezione dell’intera produzione poetica, come suggerisce anche il titolo della raccolta. Si tratta di un progetto di trascrizione che non fu portato a termine come Selma avrebbe voluto: lo dimostrano inequivocabilmente le molte pagine già numerate e rimaste vuote, le pagine non numerate ancora disponibili e la frase scritta quasi sicuramente il 7 giugno 1942 sotto Tragicità, l’ultima poesia copiata – un’ avvertenza a matita rossa in una grafia caratterizzata da forte verticalismo, approssimativi finali di parola e mancanza di punteggiatura, tratti che tradiscono la fretta espressa dal contenuto:

Non ho avuto tempo di finire di scrive-

re. Peccato che tu non abbia voluto

salutarmi Auguri Selma

L’antologia del 1968

“Un mosaico di destini…”: così fu definita dal curatore Heinz Seydel [9] Welch Wort in die Kälte gerufen, l’antologia poetica sulla Shoah uscita nel 1968 presso la casa editrice Verlag der Nation di Berlino-Est – un’ampia selezione di voci prese nella loro unicità e nel loro specifico confrontarsi con il dolore:

Poesie, in gran parte scritte nella notte fascista, circondate dal gelido soffio dell’orrore: quali parole gridate nel freddo! [10]

La voluminosa raccolta, comprendente quasi 600 pagine di liriche sul trauma della persecuzione ebraica, fu presentato da Seydel come il frutto di un cambiamento della società tedesca (intesa come società tedesco-orientale), un testo pensato soprattutto per le giovani generazioni, che non avevano vissuto la seconda guerra mondiale e dovevano essere rese consapevoli della possibilità di un ritorno di tendenze estremiste mai del tutto sopite,

perché non torni la notte… [11]

Nella prefazione Seydel sottolineava come l’opera curata fosse una novità, un’antologia tematicamente unica in Germania, per di più subito accettata dal primo editore cui essa era stata proposta.

Che Welch Wort in die Kälte gerufen fosse una pubblicazione “nuova” è confermato dalla rarità delle pubblicazioni sull’Olocausto nella Repubblica Democratica Tedesca fino alla seconda metà degli anni ’60.

Nella DDR il tema dell’antisemitismo nazista era sempre stato tenuto in ombra sin dall’immediato dopoguerra: la SED aveva rimosso dal proprio agire politico la considerazione delle colpe e delle responsabilità del Terzo Reich, ponendo l’accento sull’innocenza dei cittadini della RDT, sull’avvenuta epurazione degli elementi nazisti dalla Repubblica subito dopo la fine del conflitto e sull’idea che la teoria razziale non fosse in alcun modo un punto fondamentale nei progetti di Hitler [12].

Gli enti assistenziali della Repubblica Democratica preposti al risarcimento e al sostentamento delle vittime di guerra avevano sistematicamente considerato i cittadini ebrei sopravvissuti alla Endlösung come vittime “passive”, di seconda categoria, in quanto non coinvolte “attivamente” nella resistenza contro le forze fasciste [13].

Il trattamento che il nazismo aveva riservato agli ebrei fu programmaticamente valutato in senso riduttivo, come uno dei tanti mezzi impiegati dal fascismo per combattere il comunismo. Si trattava insomma di una lettura della Shoah che riconduceva alla più importante e necessaria opposizione della RDT e del blocco filosovietico al blocco delle potenze occidentali capitaliste cui erano legati anche la Repubblica Federale Tedesca – che a detta delle autorità dell’Est si era ben guardata, dopo la guerra, dall’allontanare personaggi politici in forte odore di nazionalsocialismo – e lo Stato d’Israele giudicato in toto sionista e filoamericano.

Già alla fine degli anni ’40 molti ebrei che si erano stabiliti a Est furono tenuti sotto controllo perché sospettati di rapporti con l’Ovest, dove comunque molti altri ebrei si sarebbero rifugiati negli anni successivi. Quanti decisero di rimanere nella Germania Orientale assistettero al progressivo condizionamento delle associazioni ebraiche in ambito nazionale. Forti pressioni furono esercitate sui rappresentanti delle comunità, progressivamente sostituiti con persone di fiducia della dirigenza della SED; inoltre, fino alla metà degli anni ’80, quando il sistema ideologico e statale iniziò a dare segni di cedimento, la RDT continuò a guardare con diffidenza alle comunità ebraiche locali in quanto possibili basi nella Germania-Est di attività di spionaggio pilotate dall’Occidente.

Nel pensiero dei dirigenti politici della DDR, antifascismo e antisionismo vennero dunque a coincidere, mantenendo vivo, se non l’antigiudaismo di matrice nazista, certamente un antisemitismo di tipo staliniano e creando una diffusa avversione verso il neonato Stato d’Israele. Quest’ultimo, vedendosi negata per decenni la possibilità di intrattenere rapporti diplomatici ufficiali con l’ostile RDT che continuava anche a manifestare un ostinato rifiuto di versare la propria parte di Wiedergutmachung per le vittime ebree del conflitto, preferì legarsi a Bonn e alle sue scelte politiche. Per decenni il sistema educativo e gli organi di stampa statali della Germania Orientale cercarono di inculcare nella popolazione non ebraica un forte sentimento antisionista e l’ostilità contro Israele.

Le campagne giornalistiche denigratorie nei confronti di Israele cominciarono ad arrestarsi a partire dal 1967, in occasione della Guerra dei Sei Giorni, quando proprio la popolazione non ebraica espresse in differenti modi e in diverse occasioni [14]il dubbio che

l’immagine diffusa dalle autorità corrispondesse al vero. (…) Molti cittadini tedesco-orientali consideravano la guerra come un riscatto del popolo ebraico troppo a lungo oppresso. Altri non ritenevano credibile che “persone che tanto (avevano) sofferto” durante la Seconda Guerra Mondale avessero scatenato un nuovo conflitto. Altri rifiutavano la condanna per motivi di coscienza, perché, dicevano, “noi tedeschi dobbiamo ancora discolparci di molte cose di fronte agli ebrei”. Le risoluzioni contro l’“aggressore Israele” non raccoglievano consensi [15].

Nello stesso periodo il disappunto della RDT nei confronti del rapporto preferenziale sviluppatosi tra Israele e Germania-Ovest trovò espressione nella pubblicazione di un dossier contenente informazioni sul passato nazista di personalità attive presso il governo e le forze di polizia della Repubblica Federale e mirante a screditare Bonn agli occhi delle comunità ebraiche orientali, al fine di ottenerne il sostegno nella campagna mediatica anti-israeliana e anti-occidentale, vale a dire nel “rinnovato impegno anti-fascista democratico” della Germania-Est.

Questo dossier (reso noto nel 1967) fu però seguito, nel settembre 1968, dalla presentazione a Vienna del Dossier Wiesenthal che documentava i trascorsi nazionalsocialisti di funzionari che occupavano posti-chiave proprio nel sistema mediatico della DDR e che pertanto erano coinvolte nelle campagne anti-israeliane. Tale documentazione non fu mai smentita. Si vede bene come dunque l’antisionismo “democratico” provenisse in parte da un antisemitismo precedente e nuovamente si risolvesse in un odio ebraico di parte.

L’antologia di Heinz Seydel, sebbene intesa come novità sia in senso tematico che come iniziativa editoriale, non era altro che l’ulteriore conferma di un’idea sull’Olocausto da sempre presente a Est e influenzata dall’ideologia comunista.

Nelle Reflexionen introduttive Seydel ribadiva che l’odio antisemita era soltanto una delle molteplici manifestazioni della lotta tra blocchi politici e giungeva a identificare grossolanamente (o avvedutamente?) l’arianesimo con il capitalismo e il giudaismo con il bolscevismo [16]ponendo in secondo piano la presenza di una grande borghesia ebraica nei territori tedeschi all’inizio dell’era hitleriana. L’ebraismo era accomunato senza mezzi termini al marxismo e la “lotta all’ebreo” era presentata come lotta al comunismo e all’Unione Sovietica:

il metodo del parafulmine. Il fascismo ha bisogno di un odio per poter vivere. (…) La persecuzione degli ebrei non fu solo una questione “di razza”, non solo una questione economica, ma prima di tutto una dichiarazione di guerra politica (…) uno strumento della lotta di classe [17].

Seydel valutava colpe e meriti dei non-ebrei, ricordando la minoranza tedesca soppressa nei campi di concentramento: non è forse azzardato vedere in questa suddivisione tra buoni e cattivi un riferimento al pensiero diffuso nella RDT che considerava lo Stato Orientale buono (perché anti-fascista) e degno di essere l’unico erede del vecchio stato tedesco, contrapposto alla Repubblica Federale cattiva che aveva riabilitato i criminali nazisti inserendoli nei quadri direttivi statali.

Tipicamente “orientale” è anche il velato riferimento al rifiuto del pagamento di una Wiedergutmachung in denaro agli ebrei sopravvissuti che la DDR aveva opposto fin dall’inizio degli anni ’50 alle richieste delle organizzazioni ebraiche internazionali con la precisazione che un risarcimento era già stato pagato con l’eliminazione degli “elementi fascisti” dal nuovo stato democratico tedesco, che il risarcimento pecuniario versato dalla Germania-Ovest era stato impiegato per comprare dai paesi “imperialisti” armi usate da Israele nelle guerre in Palestina e che la DDR non si sarebbe mai compromessa decidendo nello stesso senso.

Senza entrare in polemiche troppo evidenti Seydel suggeriva la legittimità della posizione statale orientale rivestendola di buonismo culturale e affiancandole la “necessità del ricordo” contro l’onnipresente estremismo di destra:

Un risarcimento deve esserci: l’eliminazione delle forze che resero possibile una cosa del genere. [18]

Le Reflexionen terminano con una presa di posizione in difesa degli ebrei, considerati povere vittime del gioco imperialista delle potenze occidentali. Ancora una volta la Repubblica Federale è implicitamente accusata di eccessiva “tolleranza” nei confronti del fascismo, termine che ribadisce il concorso di colpa nei crimini commessi durante l’ultimo conflitto:

[questo libro] appare in un momento in cui, in uno dei due stati tedeschi i cimiteri ebraici vengono nuovamente profanati e appaiono in giro nuove scritte con minacce antisemite: là dove un compilatore delle Leggi di Norimberga [19]ha potuto ricoprire incarichi dirigenziali nella politica governativa, dove molte persone che hanno tratto un utile dalla persecuzione degli ebrei sono Ministri e Segretari di Stato [20].

Tutte queste considerazioni non sono state riportate per negare o accentuare le responsabilità dell’una o dell’altra Germania, ma solo per chiarire la posizione del governo rispetto alla Shoah nel luogo (la DDR) e nel periodo (1968) della pubblicazione dell’antologia, il cui curatore faceva proprie, in modo assai raffinato, le tradizionali disposizioni ufficiali, riproposte però come frutto di un tanto atteso mutamento della società tedesca (orientale!).

L’antologia è suddivisa per aree tematiche ordinate secondo un criterio cronologico: Diaspora, Presentimento, Esilio, Pogrom, Deportazione, Ghetto, Campi di sterminio, Bambini, Memoria dei defunti, Dopo; nella sezione Bambini [21]è riportata Poema [22], la poesia che Selma compose il 7 luglio 1941, giorno dell’incendio della Grande Sinagoga di Czernowitz e della morte in strada di decine di ebrei che avevano opposto resistenza all’arrivo delle truppe tedesco-rumene, la lirica che oggi compare più spesso nelle antologie e nei programmi di lettura e recitazione o anche sui siti in Internet. La sezione è introdotta da una lunga citazione dalle annotazioni del 15 luglio 1944 nel Diario di Anne Frank:

“Perché in fondo la gioventù è più solitaria della vecchiaia”. Questo detto mi è rimasto da un qualche libro che ho letto e mi sembra vero. (…) Noi giovani facciamo il doppio della fatica ad avere le nostre opinioni in un’epoca in cui ogni idealismo viene annientato e distrutto… (…) Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele [23].

Il riferimento dal Diario apre l’intera sezione dedicata ai bambini vittime della persecuzione, ma Anne Frank è citata anche in un riferimento più specifico proprio nella nota biografica su Selma, dove per la prima volta le due adolescenti sono nominate insieme e Selma è già in qualche modo tirata in un confronto con la Frank certamente riduttivo, ma ancora giustificabile, data la mancanza di notizie biografiche esaurienti e il fatto che l’esistenza del manoscritto fosse ancora del tutto ignorata.

Il componimento di Selma è riportato, come d’altronde avverte il curatore, in forma di poco abbreviata, con versi espunti, coppie di versi unite e strofe leggermente modificate.

È possibile che Seydel abbia voluto evitare ripetizioni che potevano essergli sembrate ridondanti e che tuttavia contribuiscono al ritmo della poesia, ma sappiamo anche che egli aveva avuto questi versi da una fonte che non aveva accesso diretto al manoscritto e che quindi alcune storpiature e contrazioni strofiche potessero essere state causate da una copiatura sommaria. Era stato il poeta Alfred Kittner, che all’epoca risiedeva a Bucarest, a far avere a Seydel una copia di Poema:

due sue poesie vennero date ad Alfred Kittner da un’amica che si trovava in viaggio e che riuscì a salvare i fogli scritti a matita [24]

L’amica “in viaggio”, che aveva salvato i fogli con le poesie, era Renée Abramovici che dopo la guerra aveva incontrato Kittner a Bucarest.

È anche possibile che le poche notizie biografiche su Selma alla fine di Welch Wort in die Kälte gerufen siano state fornite dallo stesso Kittner che tuttavia doveva aver ricordato male le informazioni ricevute, dato che queste sono in gran parte errate: l’anno di nascita è posticipato al 1926 mentre la deportazione è anticipata all’estate 1941, affermando poi che nessuno dei prigionieri deportati con Selma aveva potuto salvarsi (mentre lo stesso Kittner era scampato alla morte e il diario di Arnold Daghani era già stato pubblicato in Romania, Germania e Inghilterra) e la data di composizione di Poem è ritardata all’inverno 1941/1942. Selma è inoltre descritta come

una ragazza serena, comunicativa, interessata in special modo alla cultura e alla letteratura [25]

Un profilo che si adatta più alle descrizioni di Else Schächter-Keren che ai ricordi di Renée Abramovici [26], ma che potrebbe essere stato fornito a Seydel persino da Paul Celan. Infatti, nonostante odiasse essere citato principalmente come autore della famosa Todesfuge [27], mal sopportando il fatto che questo testo avesse ottenuto un successo troppo “facile”, diventando per il grande pubblico motivo di un approccio svilente [28] con la sua opera, e rifiutandone sistematicamente l’inserimento in nuove raccolte di liriche nel corso degli anni ’60, Celan acconsentì eccezionalmente a pubblicarlo [29] insieme ad altre due poesie – Espenbaum [30] e Nähe der Gräber [31] – proprio nell’antologia del Verlag der Nation. Celan aveva

dato il proprio consenso alla stampa di Todesfuge per erigere un monumento alla parente Selma Meerbaum. Nel 1969 egli regalò il libro all’amico di gioventù David Seidmann richiamandone l’attenzione sulla lirica Poem [32].

L’edizione privata

La raccolta di Seydel ha avuto il merito di richiamare l’attenzione di Hersch Segal, il professore di matematica della Jüdische Schule di Czernowitz. Informato da Edith Rones-Hubermann (un’altra cugina di Celan stabilitasi a Tel Aviv) del manoscritto custodito da Reneé Abramovici, nel 1976, con il contributo di altri ex-allievi entusiasti dell’iniziativa, realizzò a Rechovot un’edizione ciclostilata delle poesie di Selma, un fascicolo di 96 pagine prodotto in poche centinaia di copie distribuite ad amici e conoscenti.

Questa edizione privata contiene i fac-simile rimpiccioliti della grafia originale di Selma, i disegni di Moshe Krinitz ripresi dall’album, una copia dell’ultima lettera di Selma, una testimonianza di Else Schächter-Keren, una foto di Selma con gli amici dell’Haschomer Hatzair, un Gedenkblatt del pittore Isiu Schärf, alcuni estratti del diario di Arnold Daghani (di cui si può vedere anche la famosa Pietà 1942) e una postfazione dello stesso Segal. La quarta di copertina riproduce un’opera a china raffigurante un vaso di fiori su un tavolo, personale Widmung di un’altra Mitschülerindi Selma, Miriam Bockelman-Alpern.

L’organizzazione della raccolta rispetta l’ordine dell’album originale tranne che per la posizione della traduzione da Leivick: Schlaflied viene infatti posta tra Der Sturm e la traduzione da Manger Ich bin der Weg gen Untergang. La poesia oggi nota come Rote Nelken viene erroneamente titolata Rote Wolken [33].

Nel Nachwortil prof. Segal racconta del manoscritto, accenna un’interpretazione della poetica di Selma e cita due frammenti di lettere che uno sconosciuto “Freund Selmas” aveva scritto a Reneé. Il primo frammento, estratto di una lettera inviata da Bucarest, risale al 30 settembre 1946:

…avevo qui il suo quaderno di poesie, che ora spero sia nelle tue mani devote, e lei era davvero qui. E ti ho chiesto se veramente mi fosse permesso leggere quelle poesie, dato che esse non erano destinate a me, ma a uno che oggi dorme nelle profondità di un vasto mare… E dunque ho letto le poesie – eccome se le ho lette! Quell’immagine me ne ha dato il diritto, quell’immagine che vive in me e che ho amato e amerò con l’intensità e la devozione del primo turbamento. Sogno di fare prima o poi un viaggio con te, cercare a lungo e poi piantare un castagno presso una tomba così dolorosamente solitaria nella steppa. Forse il dolore sarebbe meno duro, forse allora riuscirei a piangere [34].

Qualcuno aveva amato Selma, senza che ella lo sapesse, abbagliata com’era dal taciturno “Leisiu”. Forse qualche amico appartenente all’Haschomer Hatzair [35].

Un secondo frammento di corrispondenza tra questo ignoto e infelice ammiratore e Reneé è tratto da una lettera spedita da Parigi l’11 marzo 1950:

…o è semplicemente la nostalgia che scava dentro, insolente e senza considerazione alcuna di tempo, distanza e sentimenti? E in tutto questo compare un volto sorridente, allegro – una tomba perduta nella steppa ucraina… [36]

Sono parole che riferiscono ancora una volta della forza di Selma, della magneticità del suo carattere, del suo essere insolita, della sua voglia di afferrare, prendere la vita – una prova di quanto il suo piccolo mondo fosse stato colpito dalla sua personalità pure nel brevissimo tempo della sua vita. I due estratti sono la conferma che questa ragazza aveva colpito il cuore di un’ennesima persona e che il suo volto e il suo sorriso beffardo e conciliante erano rimasti bene impressi in un altro animo, in un’altra sensibilità, in un’altra memoria. Reneé ne ricordava i capelli, Else la risata, Margit gli occhi scuri e intensi [37]; ora un innamorato mai dichiaratosi ne rimpiangeva il volto gioioso.

Ciò che rende unica questa edizione del 1976 è la presenza, a pag. 23, di una poesia intitolata Nachtschatten non presente in forma autografa nell’album e qui inserita tra la poesie Abend II e Trauer. L’album originale riportava nello stesso punto il solo titolo Nachtschatten [Morelle] su una pagina vuota, inteso quindi come titolo di una sezione della raccolta. La poesia omonima inserita nella raccolta del ’76 è oggi ritenuta spuria [38]per mancanza di un manoscritto che ne attesti l’autenticità. A tale questione non esistono risposte soddisfacenti.

Blütenlese 1979

La diffusione della Privatausgabe realizzata da Segal a proprie spese, destò un certo interesse in Israele nei confronti del corpus tornato alla luce. Nel 1979 la casa editrice dell’Università di Tel Aviv stampò la prima edizione pubblica assoluta delle liriche di Selma curata da Adolf Rauchwerger come opera n. 29 della collana voluta da Shlomo Simonsohn per il Diaspora Research Institute. Fatto eccezionale, la raccolta fu edita in tedesco proprio in Israele dove era ancora fortemente radicata l’avversione per la “Lingua Tertii Imperii”, ma viveva ancora quella generazione di profughi bucovini che forse aveva amato il tedesco più degli stessi ariani e più aveva vissuto con e per la cultura mitteleuropea.

L’edizione accademica, molto semplice nell’insieme, è di grande effetto, comunicando un senso di sobrietà, quasi di bellica precarietà. Sulla copertina grigio chiaro – grigio cenere –, realizzata da Isiu Schärf, compaiono il nome dell’autrice, la data di nascita e di morte, il titolo Blütenlese [Florilegio] e il sottotitolo Gedichte [Poesie]: un Grabstein, già una sorta di monumento, un Denkmal in senso celaniano – di lingua e nella lingua – che pare un monito contro la facile policromia delle copertine dell’epoca, l’ubriacatura figurativa che poteva sottrarre coscienza e ricordo al passato incolore, all’essenzialità e alla privazione ancora recenti nei cuori dei sopravvissuti.

Il progetto fu finanziato da un lontano parente di Selma, Simon Schrager.

Nella sezione Nachtrag und Druckfehlerberichtigungil curatore Rauchwerger fissa (erroneamente) la data di nascita di Selma al 5 agosto 1942, secondo il ricordo di Else Keren. Egli cita alcuni dati biografici di Leiser Fichman, sottolineando come la data della morte di questi sarebbe coincisa con il ventesimo compleanno di Selma: è la prima volta che questa presunta coincidenza, che comunque oggi sappiamo non sussistere [39], compare in una pubblicazione su Selma – indicazione in cui fatalisti e inguaribili romantici vedrebbero una prova del legame ‘oltre la morte’ tra Selma e Leiser, un’affascinante suggestione che ha contribuito non poco al successo editoriale e alla lettura sentimentale delle pubblicazioni successive. Nella prefazione Rauchwerger cita l’antologia di Seydel, riassume il processo di ricerca da essa messo in moto, ricorda l’aiuto generoso degli amici di Selma.

È interessante notare come il paragone con Anne Frank, presente in nuce in Welch Wort in die Kälte gerufen, venga già in qualche modo messo da parte, considerato come “nicht ganz zutreffend” [40], a causa di quella “kindliche Naivität” di Anne che è del tutto assente nelle composizioni di Selma anche laddove il riferimento al sogno e ai dettagli apparentemente insignificanti della quotidianità, sembrerebbero lasciare nel lettore frettoloso un sapore di banalità adolescenziale; in Anne Frank non troviamo la prontezza di Selma a gettarsi nella mischia, quel coraggio nel non evitare lo scontro, ma anzi nell’aspettarlo fermamente, né percepiamo la “profondità di sentimento e pensiero” e la “stupefacente maturità” [41]dell’agonismo meerbaumiano, la caparbietà e l’intraprendenza della giovane poetessa.

Entrambe proiettate verso il sogno, e certo anche un sogno d’amore, esprimono però un’impostazione diversa rispetto al futuro, che per la Frank si traduce nel desiderio di avere uno spirito più forte, di migliorare se stessa, e nell’anelito a un’auto-affermazione contro gli adulti e sugli adulti (causato inevitabilmente dalla forzata convivenza nell’appartamento-rifugio), mentre per Selma Meerbaum diviene volontà di dispiegare al massimo, e in direzioni già individuate, una forza e un carattere definiti e formati, di contribuire al miglioramento del suo angolo di mondo senza considerare gli adulti quali termini di paragone negativi. D’altro canto molti aspetti accomunano le due ragazze, a partire dal modo in cui ognuna delle due visse la propria situazione di privazione e annichilimento. Questa, pur essendo un aspetto centralissimo della loro esistenza, non ne esaurisce la testimonianza e non scusa l’identificazione pressoché totale cercata dalla maggior parte dei critici.

Entrambe manifestano un grande amore per la natura e hanno lasciato parole di gratitudine per la consolazione derivante dalla sua contemplazione, ma se Selma ama porsi come interlocutrice del creato, presenza viva e attiva tra piante e animali, la più timida Anne sente, osservando il cielo da una finestra, tutta la propria piccolezza.

Entrambe esprimono il desiderio di affermazione come scrittrici, l’ambizione di restare oltre la morte grazie a un’opera di valore. Anne Frank scrive a questo proposito nel Diario:

Voglio essere utile o procurare gioia alle persone che vivono attorno a me ma che lo stesso non mi conoscono, voglio continuare a vivere anche dopo la morte! E per questo sono davvero grata a Dio di avermi fatta nascere dandomi così la possibilità di svilupparmi e di scrivere, e dunque di esprimere quello che ho dentro [42]!

L’immortalità, certo, ma il presente? Anne Frank oscilla tra speranza e apatia, comprende di non essere indispensabile al mondo e dichiara di essere arrivata

al punto in cui non fa molta differenza se muoio o sopravvivo [43].

Inconscia strategia per difendersi dal terrore? Può darsi, ma è un’attitudine che non troviamo in Selma, che pure pare sospesa tra sogno e stanchezza, ma che, tra le varie espressioni di una multiforme tristezza, aveva la forza di ribadire, in Poema:

Non voglio morire. No!

No.

La vita è rossa,

La vita è mia.

Vivere nella memoria degli altri: sì – ma Selma vuole anche, nonostante tutto, la pienezza del presente.

Di Selma si conoscono composizioni precedenti alla prima occupazione di Czernowitz (giugno 1940): la sua produzione non può quindi essere sovrapposta a quella di Anne, di cui si possiede un unico scritto in prosa redatto nel nascondiglio, cioè già in una condizione-limite.

Come evidenziato molto efficacemente da Sabine Werner-Birkenbach [44], è fin troppo semplicistico mettere le due autrici sullo stesso piano perché adolescenti, innamorate e accomunate da una medesima malattia e dallo stesso destino di ebree: ciò vuol dire avallare l’ormai abitudinaria tendenza al più generico compatimento e a una commozione sbrigativa che peraltro lasciano poco spazio a una presa di coscienza più profonda della specificità di ogni singola testimonianza. Oggi purtroppo ogni ragazza vittima dell’Olocausto è condannata a portare la maschera dell’esile Anne Frank, in cui Anne Frank è ogni giovane ebrea morta in campo di concentramento – non importa se più grande o più matura o se risponda al nome di Selma o Etty o Louise [45]– in cui Anne Frank è un trade mark, è una garanzia di successo, solo perché arrivata per prima sul mercato librario. A scapito della sublimità di altri cuori, dell’originalità di altri percorsi letterari.

In Germania anche Selma è passata per le forche caudine della massificazione culturale, come ennesima ‘Frank-Replik’, stavolta in versione ‘sentimental-rustico-scout’, nonostante Rauchwerger avesse, già nel 1979, messo in guardia da classificazioni troppo facili.

L’organizzazione dei testi poetici e biografici nella Blütenlese del 1979 è ricalcata sul modello della versione del 1976 e si avvale di un nuovo confronto con il manoscritto [46].

I titoli floreali delle sezioni sono riportati come suddivisi nell’album, mentre la poesia spuria Nachtschatten è tralasciata per la mancanza di un manoscritto attendibile e, come avverrà per le edizioni tedesche successive, Schlafliedsi trova anteposta rispetto al manoscritto (ma posposta rispetto all’edizione 1976), tra Ich bin der Weg gen Untergang e Herbstlied. Quest’ultima poesia, traduzione tedesca della Chanson d’automne di Verlaine, precede così direttamente Es weint der Regen in mir, la seconda traduzione da Verlaine. Tra queste due versioni in tedesco troviamo anche la traduzione di Chansond’automne in yiddish, già presente nella edizione privata.

L’edizione universitaria contiene tre immagini e otto fac-simile della calligrafia di Selma, le appendici sono ridotte, mancano il Gedenkblatt e le illustrazioni inserite da Selma nell’album. Compaiono ancora la lettera di Selma, gli estratti dal diario di Daghani e il Nachwort del 1976 del prof. Segal, così come la testimonianza di Else Keren, leggermente abbreviata.

È interessante evidenziare come la frase a matita rossa, scritta da Selma sotto l’ultima poesia copiata, sia qui riprodotta ancora per intero: a partire dal 1980 essa sarà sempre, ‘sapientemente’, lasciata tronca.

Ich bin in Sehnsucht eingehüllt

Dopo il rocambolesco arrivo dell’album in Israele e l’inattesa iniziativa di un professore di matematica con la passione per la letteratura e un’eccezionale memoria, una lontana parente della Meerbaum donò una copia della sua raccolta a Hilde Domin che si trovò a parlarne con il giornalista Jürgen Serke, noto per essere un “segugio letterario con un gran fiuto per le opere perdute” [47]. La poetessa donò al giornalista la propria copia della Blütenlese edita dal prof. Segal.

Serke rintracciò quanti ancora ricordavano Selma, riuscendo a individuare persino Walter Mintel, l’Unterscharführer del campo di Michailovka, già scagionato, in quell’inizio degli anni ’80, dalle imputazioni rimesse in gioco in seguito alla pubblicazione del diario di Arnold Daghani.

Lo storico articolo di Serke apparso su “Der Stern” nel maggio 1980, e usato in seguito come introduzione di tutte le edizioni tedesche della raccolta lirica, presentava i felici risultati di una ricerca durata ben quattro anni insieme ad alcuni scatti rubati dell’allora settantatreenne Walter Mintel sul vialetto d’ingresso della propria abitazione alla periferia di Amburgo. Quel Mintel che pretendeva denaro per chiudere un occhio davanti alle epidemie nelle baracche e che negò sempre di essere mai stato nell’Arbeitslager Michailovka.