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La loro presenza autorevole si fa sentire prima di ogni altra cosa. Il mio cuore manca un battito e il sangue si raffredda nelle vene. Loro sono qui. I voluminosi mantelli coprono interamente i loro corpi e i loro volti sono in gran parte nascosti dai cappucci. In piedi, con le ampie spalle e le mani nascoste dietro la schiena, emanano pura virilità e dominio. La voce baritonale di lui sussurra, e il suo respiro brucia sul lobo del mio orecchio. Il suo tono è gentile, ma non nutro alcun dubbio sul fatto che quelle parole siano un ordine. Radunatevi e presentatevi. Questa è l`offerta... Reclamata è una raccolta di dark paranormal romance con un alto tasso di tensione erotica e suspense che vi terrà con il fiato sospeso. Comprende Bacio Sofferto, Delicate Cicatrici e Lussuria Primordiale.
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Seitenzahl: 602
Veröffentlichungsjahr: 2025
UN BACIO SOFFERTO
Parte I
Prologo
Grace
Grace
Grace
Devin
Parte II
Grace
Grace
Grace
Grace
Devin
Lizzie
Parte III
Dom
Grace
Dom
Parte IV
Dom
Devin
Caleb
Lizzie
Parte V
Grace
Grace
Lizzie
DELICATE CICATRICI
Parte VI
Prologo
Vince
Veronica
Vince
Vince
Veronica
Parte VII
Grace
Dom
Grace
Lizzie
Lizzie
Parte VIII
Devin
Veronica
Grace
Lizzie
Grace
Veronica
Vince
LUSSURIA PRIMORDIALE
Parte IX
Grace
Grace
Devin
Dom
Vince
Parte X
Devin
Veronica
Grace
Vince
Vince
Parte XI
Devin
Dom
Devin
Vince
SAGA RECLAMATA
L’OFFERTA
La loro presenza autorevole si fa sentire prima di ogni altra cosa. Il mio cuore manca un battito e il sangue si raffredda nelle vene. Loro sono qui.
I voluminosi mantelli coprono interamente i loro corpi e i loro volti sono in gran parte nascosti dai cappucci. In piedi, con le ampie spalle e le mani nascoste dietro la schiena, emanano pura virilità e dominio.
La voce baritonale di lui sussurra e il suo respiro brucia sul lobo del mio orecchio. Il suo tono è gentile, ma non nutro alcun dubbio sul fatto che quelle parole siano un ordine.
Radunatevi e presentatevi. Questa è l’offerta…
Non riesco a smettere di fissare Lizzie. Il suo look è perfetto, ma il vestito rosa acceso che indossa è così stretto che le sbucano quasi le tette. Non posso arrabbiarmi granché, con lei, per questo. Se le mie fossero così belle, le metterei in mostra ogni volta che posso. Ma l’orlo del vestito termina circa tre centimetri sotto il suo sedere, a voler essere generosi. Non lascia molto all’immaginazione. Non che io stia giudicando. Ho solo paura che siano altri a farlo. Se dovesse piegarsi anche solo un po’, tutti vedrebbero la sua mercanzia. A quell’immagine storco il naso e mi sopraggiunge un pensiero.
“Ma almeno porti la biancheria intima?” Cerco di mantenere un tono neutro per non dare l’impressione di essere una bacchettona, ma non posso fare a meno di chiederglielo, visto che va sempre in giro senza mutande. Anche se non riesco a immaginare che rischi problemi di abbigliamento, considerando dove siamo dirette.
Lei interrompe il suo contouring e mi rivolge un sorriso malizioso, poi alza gli occhi al cielo. “Sì.” La sicurezza di sé vacilla nella sua espressione, ma solo per un attimo, e penso che potrei essermelo immaginato. Autostima è praticamente il suo secondo nome.
“Grazie a Dio.” Tiro un respiro di sollievo e la guardo mentre si spruzza qualcosa sui capelli e ne liscia le punte. Le sue mani tremano appena e stavolta so di non aver inventato ciò che ho visto. “Sei sexy,” dico, nel tentativo di calmarle i nervi. Non è il vestito, a irritarla. È in agitazione a causa di ciò che dovremo fare non appena saremo uscite. So che è così, perché anch’io sono scossa.
“Lo dici tanto per dire,” ribatte dolcemente con un sorrisetto che su di lei non sembra affatto innocente. “È per via dei capelli biondi,” aggiunge, mentre se ne avvolge una ciocca intorno a un dito. “Piacciono di più.”
Per tutta risposta mi limito a una risatina, scuoto la testa e ignoro il rimescolio che mi tormenta le viscere da tutto il giorno.
Sta davvero azzeccando il look da bomba sexy bionda. A dire la verità lei sta bene di qualsiasi colore li tinga. Anche l’estate scorsa, quando se li è fatti viola. Stava benissimo, come se fosse nata per avere i capelli viola; io sarei sembrata una completa idiota.
Ritoccandomi il trucco un’ultima volta, guardo il mio riflesso nello specchio prima di sorridere e di passarmi le dita tra i capelli naturalmente castani, dando loro un aspetto più informale. Lizzie può anche avere un look sexy e seducente, ma io ho una bellezza più tradizionale. Mi piace il mio aspetto sobrio. Tiene lontani gli stronzi.
Lizzie riesce a gestirli con umorismo… io no. Do un’altra passata di rossetto premendo le labbra tra loro ed è ora di passare alle scarpe.
Indosserò sicuramente i tacchi. È un must quando esco con Lizzie. Lei praticamente ci vive dentro, visto che è di statura bassa, ma lo sono anch’io. Mi ci è voluto un po’ per abituarmi a portarli sempre, ma ormai è come avere delle pantofole. Stavolta, però… mettermi tutta in ghingheri mi fa formicolare i nervi dietro la nuca.
“Nuovi?” mi chiede lei, mentre adocchia i jeans firmati che ho comprato giorni fa. Le sono grata per la distrazione. Voglio pensare ad altro. L’idea di essere presa da qualcuno, e in particolare da uno degli uomini che oggi saliranno su quel palco, è solo un incubo. Non succederà. Oggi pomeriggio non succederà un bel niente, e poi usciremo davvero. Questo è il piano e lo rispetteremo. Devo smettere di pensare alle cose peggiori che si possano immaginare. A volte la mia mente si addentra nei luoghi più oscuri, ma non oggi. Non ora. E di sicuro non quando Lizzie ha bisogno che io sia lucida.
“Sì, sono il miglior paio che io abbia mai avuto.” Si adattano alle mie curve da donna minuta meglio degli altri che ho nell’armadio. Sto infierendo un po’, ma Lizzie sa che sto solo scherzando. Aggiustandomeli bene addosso, mi giro per controllare il fondoschiena. Le mie curve sono leggermente abbondanti, ma mi piacciono. Ho i fianchi larghi e il seno piccolo, mentre Lizzie ha una figura decisamente a clessidra.
“Quando li hai comprati?”
“Li ho presi in saldo la settimana scorsa. Saresti dovuta restare con me al centro commerciale, ma te ne sei andata…” Schiocco la lingua e sorrido. Mi ha mollato lì da sola per andare a sbrigare una commissione per il nostro capo. Quel culo moscio chiede sempre questo genere di cose. Praticamente gestiamo la libreria da sole.
“Ne hanno ancora?” chiede ancora lei, mettendo il broncio.
Serro le labbra e scuoto la testa. Erano l’unico paio sullo scaffale delle offerte. Se io e Lizzie portassimo la stessa taglia, glieli presterei. Ma non è così. Quindi è sfortunata. “Mi dispiace, tesoro.”
“Accidenti.”
“Dovremo fare attenzione, nel caso ne mettano altri.” Annuisco. “Dovremmo cercare anche online.”
Le brillano gli occhi, a quel suggerimento. “Certo, il giorno di paga è venerdì,” risponde con voce cantilenante, facendo ondeggiare la testa a ritmo. Gli orecchini pendenti che indossa tintinnano dolcemente. Sono d’oro rosa con pietre di luna. Glieli ho regalati per il suo diciottesimo compleanno. Lizzie è allergica all’argento, quindi mi sono assicurata di prenderli di oro puro. Sono costati un po’ di più ma ho capito che ne è valsa la pena, vedendo la sua espressione quando ha aperto la confezione regalo. Possiede molti orecchini, ma sembra che indossi sempre proprio quel paio.
Il sorriso mi si allarga in volto finché non mi rendo conto che devo chiederle l’inevitabile, e al solo pensiero si spegne del tutto. “Sei quasi pronta?” Sembra che lo sia, ma conoscendola non escludo che potrebbe passare ancora chissà quanto a prepararsi. Anzi, scommetto che se non le ricordassi l’ora potrebbe restare qui dentro tutto il giorno. Il suo trucco mi sembra già impeccabile, comunque, con quel perfetto sguardo da gatta e il rossetto rosa in tinta con il vestito. “E hai una giacca?” aggiungo, in modo piuttosto ridicolo, come se fossi sua madre.
“Sì, e sì,” dice, alzando gli occhi al cielo ma senza perdere il sorriso. “Ma abbiamo ancora un po’ di tempo da ammazzare, vero?”
Lancio un’occhiata al mio telefono, che è appoggiato sul ripiano del lavandino. La nostra università di provincia, Shadow Falls, è a soli dieci minuti di distanza e ne abbiamo ancora quaranta prima di dover assolutamente partire.
I nervi mi formicolano lungo un braccio e ho un nodo in gola. Non do a vedere nessuna delle due cose quando le rispondo. “Un po’, sì.” Posso indovinare cosa voglia esattamente. “Facciamo un salto a prendere un caffè?”
“Sì!” esclama con aria teatrale, guardando il soffitto come se stesse ringraziando il cielo. Ha una seria dipendenza dalla caffeina. Scuotendo la testa, le sorrido e prendo il telefono. Potrei anche mangiare un biscotto con le gocce di cioccolato, già che ci siamo. Qualcosa per calmare lo stomaco.
“Andiamo allora… tipo adesso…così non facciamo tardi.” Passo in rassegna l’armadio comune, che è pieno zeppo di vestiti, e in una frazione di secondo scelgo la mia pochette preferita. Dopo averne momentaneamente ammirato la stampa a quadri pastello e il morbido cuoio marrone chiaro, ci infilo il telefono, il portafoglio e il rossetto rosso ciliegia.
“Ti metti i tacchi a spillo rosa?” mi chiede, come se non conoscesse già la risposta.
“Ovvio,” rispondo io, premendo di nuovo le labbra tra loro. Li indosso quasi ogni giorno. Sono abbastanza neutri da abbinarsi alla maggior parte dei capi del mio guardaroba, ma hanno un po’ più di grinta rispetto ai tacchi color carne. Le suole rosso scuro danno un ulteriore tocco di sex appeal, cosa che adoro. E non guastano neanche i cinque centimetri in più che mi regalano. Mi fanno sentire come se la giornata di oggi non fosse niente di straordinario, certa che mi farò valere… proprio come tutti gli altri giorni.
Non c’è nulla di cui preoccuparsi.
“A meno che non servano a te,” aggiungo.
“No, sarebbe tutto troppo rosa.” Portiamo entrambe il trentanove, quindi almeno possiamo condividere le scarpe, visto che con i vestiti non è possibile. Lizzie ha tacchi di quasi tutti i modelli e colori. È una ragazza che ama la varietà. È l'unica cosa per cui spende davvero parecchio.
“Giurerei che non ne metti mai altri,” mi dice, prendendomi in giro.
“Mi piacciono questi,” ribatto con un’alzata di spalle, raccogliendo i miei tesori rosa pallido. Mi fanno sentire sicura di me e sexy. Perché non dovrei indossarli ogni volta che posso?
La gente dice che quando si vive insieme si può arrivare a odiare la propria migliore amica, ma non vedo come questo possa accadere a noi. Lei è lo yin del mio yang, il burro di arachidi sotto la mia marmellata. In più, siamo entrambe grate di aver lasciato l’ambiente di merda in cui siamo cresciute. La ciliegina sulla torta è che ci vogliamo bene e ci rispettiamo davvero.
È sempre stato così. E sempre così sarà.
Ho incontrato Lizzie per la prima volta alle scuole medie, solo un anno dopo la morte di mia madre. Eravamo entrambe ragazze solitarie e silenziose e all’inizio non avevamo legato molto, né tra di noi né soprattutto con altri.
Fu in estate che cominciammo a parlarci. Mi avvicinai a lei per prima, anche se avevo una paura mortale di essere respinta. Valeva la pena rischiare, perché ero più che stanca di sentirmi così sola. Eravamo le uniche ragazze che indossavano maniche lunghe e jeans nella stagione calda. Non era l’unico particolare ad attirarmi, ma era ciò che mi serviva per sedermi accanto a lei a pranzo. Alla fine trovai il coraggio di chiederle spiegazioni, sapendo che avrei rivelato anche la mia verità. I suoi lividi erano dovuti alla terza coppia di genitori adottivi, mentre i miei erano dovuti a mio padre, che era sempre strafatto, ubriaco o semplicemente arrabbiato.
Non mi disse perché avesse implorato di lasciare le due precedenti famiglie adottive. Sapevo solo che era contenta di rimanere nella terza, anche se la picchiavano senza motivo. Le chiesi perché non volesse andarsene e mi rispose che era il meglio che potesse avere. Anche se avevo solo dodici anni, potevo farmi un’idea di quello che aveva passato e quella verità non mi faceva sentire a mio agio.
Quella notte lei venne a dormire da me, senza che mio padre fosse in casa e senza che i suoi genitori adottivi se ne interessassero o sapessero dove fosse. Era bello fingere che fosse un vero pigiama party. Fingere di avere genitori normali e affettuosi che si preoccupavano per noi. Le chiesi perché avesse lasciato la seconda famiglia adottiva, ma lei si limitò a scuotere la testa e cominciò a piangere in silenzio. Quando pensai che avesse ormai finito di versare le timide lacrime che le rigavano il viso, mi sporsi per abbracciarla e lei mi si aggrappò selvaggiamente, singhiozzando istericamente sul mio petto. Più tardi, quella notte, si svegliò urlando e io la tenni stretta finché non si riaddormentò. È passato quasi un decennio.
Da allora, siamo state l’una la roccia dell’altra.
Raccolgo le chiavi in soggiorno e mi preparo a chiudere la porta di casa nostra. Mentre aspetto che Lizzie recuperi qualunque diavolo di cosa stia cercando, sorrido alla vista del nostro divano di seconda mano. Il nostro appartamento comincia finalmente a sembrare una casa. Siamo riuscite a trovare lavoro in una libreria dopo aver compiuto sedici anni, e non appena ce lo siamo potute permettere siamo andate a vivere insieme. Scuoto la testa, pensando a come eravamo sempre al verde. Alla fine, tra tutte e due, avevamo risparmiato abbastanza poco prima del diploma di scuola superiore. Da circa un anno viviamo insieme nel nostro piccolo bilocale. Ho amato ogni singolo secondo. È così che ci si deve sentire, in una famiglia. In più, abbiamo una collezione di scarpe incredibile.
Passano minuti, e poi altri minuti, senza che Lizzie riesca a portare il culo alla porta d’ingresso.
“Non riusciremo a prendere il caffè,” urlo in corridoio, sapendo che la minaccia attirerà la sua attenzione.
Lei grida e corre per la casa a piedi nudi, scuotendo i capelli biondi con un enorme sorriso sul viso, mentre io rido. Questa è la cosa che amo di più di Lizzie. Non si lascia mai abbattere da nulla per troppo tempo; si rifiuta di non sorridere. Senza quell’ottimismo e senza la sua amicizia, non so come sarei sopravvissuta.
Mi raggiunge all’ingresso con un paio di tacchi neri a spillo in mano. “Andiamo a toglierci di torno questa merda.”
Mentre ci mettiamo in fila alla nostra caffetteria preferita per l’asporto direttamente dall’auto, non riesco a fare a meno di sentirmi in ansia. Tanto che il mio piede scivola sul freno e la macchina sobbalza. “Merda, scusami.”
Lizzie si lascia sfuggire solo una breve risata, mentre la preoccupazione che provo io si riflette leggermente anche nella sua espressione.
“E se quest’anno prendessero qualcuno?” Il mio nervosismo sta ormai avendo il sopravvento. I collaudati tacchi rosa non mi fanno sentire per niente sicura di me. Subito dopo aver lasciato il nostro appartamento, avevo già le mani calde e intorpidite. E ora ho un respiro corto e superficiale che comincia a farmi venire il mal di testa. Il tentativo di respirare in modo profondo e controllato non mi aiuta a calmarmi; non riesco proprio a liberarmi di questo disagio. Scuoto le mani e cerco senza successo di inghiottire il doloroso nodo in gola, mentre Lizzie si agita accanto a me.
Non si sa molto dei mutaforma, nemmeno dei licantropi che inizialmente ci hanno offerto il trattato. Le diverse specie se ne stanno per conto loro, ognuna con il proprio gruppetto. La mescolanza finisce generalmente con un bagno di sangue, cosa che non vuole nessuno. Sono stati pubblicati alcuni libri, ma si sono rivelati inaffidabili. Un recente servizio giornalistico ha persino affermato che uno dei bestseller sugli esseri soprannaturali è stato pubblicato da un vampiro per scherzo, e che è pieno di bugie. Il solo pensiero dei vampiri mi fa accapponare la pelle. I non umani hanno la loro politica e i loro territori, e noi abbiamo i nostri.
Tutti noi ce ne stiamo per conto nostro… tranne in giorni come questi.
Sono giorni di merda, ma non abbiamo molta scelta. Siamo più deboli. È la semplice realtà delle cose. Gli esseri umani si sono affidati ai trattati per proteggersi. Dopotutto, non abbiamo la loro forza naturale e le nostre armi non possono far loro del male. Ho persino letto di città che hanno stretto patti con i vampiri, mentre altre si sono alleate con le streghe. Non la nostra, però. Il nostro trattato si applica solo ai licantropi di Shadow Falls. Le altre specie lo sanno e stanno alla larga. Cosa di cui suppongo dovrei essere grata. Credo che lo sarei, se non fosse per l’offerta che pretendono.
Ogni anno, Shadow Falls presenta un’‘offerta’ – è del tutto assurdo che la chiamino così – per i licantropi. Tutte le donne della città di età compresa tra i diciannove e i ventun anni devono riunirsi e presentarsi ai mutaforma. È la legge, quindi non abbiamo alternative. Quando una donna viene offerta, se viene scelta non può opporsi. Potrebbe andarsene piuttosto che partecipare, ma questo significherebbe trasferirsi in un’altra città, lasciare la famiglia e rinunciare alla protezione fornita dai licantropi. Mi viene il batticuore solo a pensare a tutte le implicazioni.
Rifiutarsi di partecipare al rito o non presentare un’offerta porterebbe all’annullamento del trattato. È già successo, nel corso degli anni, in varie altre località. I notiziari sono sempre pronti a fare servizi sui manifestanti che non vogliono più un trattato. Di solito, coloro che vogliono la protezione se ne vanno non appena iniziano i dibattiti, perché non vogliono rischiare le conseguenze. Una volta che un trattato è stato revocato, in tutto il Paese la gente aspetta con il fiato sospeso di vedere quali saranno le ripercussioni.
I licantropi non attaccano mai le città che violano i patti. I mutaforma lasciano semplicemente che le cose vadano come devono. E quando le altre abiette creature paranormali della notte si presentano nelle case vulnerabili, nessuno accorre in aiuto. A volte è solo questione di giorni perché le persone scompaiano, o peggio. Altre volte passano anni. Nelle varie edizioni del telegiornale ho visto padri piangere, implorando che le loro figlie venissero restituite. Ho visto immagini di intere città rase al suolo, presumibilmente per il solo divertimento di una strega. Gli attacchi veri e propri non vengono quasi mai ripresi, ma le conseguenze lasciano abbastanza prove per determinare cosa sia successo.
I vampiri e le streghe sono spietati e prendono, senza vergogna o scuse. La gente dice che ci sono quelli buoni e quelli cattivi, proprio come accade per ogni altra specie e razza. Ma non ho mai visto o sentito parlare di una buona azione compiuta da vampiri o streghe. L’unico aspetto positivo è che, sebbene possano creare scompiglio, non toccano ciò che appartiene ai licantropi. La storia ha dimostrato più volte che sono i licantropi a vincere quella battaglia.
Sono passati quasi centosessant’anni dalla violenza e dalla tragedia che hanno portato al nostro accordo con i mutaforma di Shadow Falls. Secondo quanto insegnato a me e a Lizzie a scuola, i vampiri arrivarono una notte di tanto tempo fa e rapirono esseri umani tenendoli prigionieri per il loro piacere e lasciando dietro di sé il disastro. All’epoca la città non disponeva di alcun aiuto né di alcun trattato, non c’era nessuno a cui chiedere pietà. Shadow Falls combatté come meglio poté, ma fu inutile. Di notte le famiglie si stringevano le une alle altre, ma al mattino qualcuno era sempre sparito senza lasciare traccia. Oppure veniva massacrato. In ogni caso, non c’era speranza. I vampiri piombavano su di loro, bevevano a sazietà e lasciavano morire le loro vittime. A quei tempi, quelle malvagie creature dalle zanne appuntite erano sfacciate. Piuttosto che catturare le loro prede e nascondersi come fanno oggi, rimanevano sul territorio di caccia e ostentavano le loro uccisioni.
Era solo questione di tempo prima che arrivassero i licantropi. Il denso odore di sangue che permeava l’aria sarebbe bastato da solo ad attirarli a Shadow Falls, ma con così tanti vampiri in giro, la città era pronta per essere presa. Disperato e senza alternative, il sindaco dell’epoca invocò il loro aiuto. I licantropi accettarono, ma a una condizione: Shadow Falls avrebbe dovuto offrire loro volontariamente le proprie donne una volta all’anno, per sempre. Lui accettò senza esitare, sapendo che c’erano precedenti nella stipula di trattati con i mutaforma, ma fermare il massacro era la sua priorità. In pochi giorni i vampiri fuggirono, e quelli abbastanza sfortunati da essere catturati dai licantropi furono divorati senza pietà.
Quell’anno, una donna fu scelta dai mutaforma durante l’offerta. Da allora, i licantropi hanno mantenuto la loro parte dell’accordo proteggendo la città, ma non hanno preso nessun altro. Solo quella donna alla prima offerta. Lei se ne andò senza una parola, senza combattere. Si dice che sia entrata in una specie di trance e che nessuno abbia più avuto sue notizie. Questa è la storia che ci viene raccontata e insegnata, comunque. Ed è il motivo per cui stiamo andando a ‘offrirci’ presso l’università locale.
È il nostro primo anno e dovremo partecipare anche i prossimi due. Ho una paura fottuta, tanto per usare un eufemismo. Cerco di ricordare a me stessa che i mutaforma non prendono nessuno da centosessant’anni. Forse questa non è altro che una tradizione superata. Come diavolo faccio a saperlo? Ma pensare al fatto che non abbiano preso nessuno da oltre un secolo e mezzo fa scendere la mia paura solo di una tacca, una tacca molto piccola.
Il fatto che mi presentino a loro mi suscita emozioni contrastanti, ma il sentimento principale è la paura totale e assoluta. Finalmente ho una casa, una sicurezza e una vita che mi stanno a cuore. Non voglio andarmene. Nessuno sa veramente cosa succede se ti prendono, ma non è difficile da immaginare. Se vieni scelta, non torni indietro. La sola idea mi getta nel panico più profondo.
Con una piega amara delle labbra e lo sguardo perso nel nulla, so che Lizzie sta pensando le stesse cose che penso io. La mia mano stringe la sua con la stessa forza con cui lei mi si aggrappò quella prima notte in cui pianse tra le mie braccia, nella mia camera da letto, quando eravamo solo bambine. “Andrà tutto bene,” le dico per rassicurarla, sorprendendomi di quanto la mia voce non dia segno di incrinature mentre pronuncio quelle parole.
La mia ricompensa è un sorriso tirato, seguito da un’alzata di spalle, poi la mia Lizzie torna in sé. “Sto bene, sto solo… ricordando.” Ci vuole tutta la mia forza per limitarmi ad annuire, procedendo nella fila per il caffè.
Il silenzio porta con sé i ricordi.
L’anno scorso venimmo a vedere, solo per capire come sarebbe stato. Fu un’idea di Lizzie. Stava molto peggio di come sta adesso. La sola vicinanza con i licantropi la faceva tremare.
Stavamo per andarcene, ma dovevamo sapere cosa ci aspettava, per prepararci. Le ragazze, circa un centinaio, vennero disposte in fila indiana e in ordine alfabetico, poi fatte sfilare su un palco. Se avessi visto una foto senza sapere nulla del contesto, avrei potuto pensare che si trattasse di una cerimonia di laurea. A ripensarci mi viene da sbuffare. A differenza di ciò che avviene normalmente a un evento del genere, l’atmosfera era minacciosa e tetra, senza discorsi o esplosioni di gioia. I licantropi arrivarono, le donne sfilarono davanti a loro e poi i mutaforma se ne andarono nuovamente. Fu qualcosa di cupo e sbrigativo, quasi come se nessuna delle due parti volesse essere presente. So per certo che era così anche per noi.
Anche se i licantropi erano per lo più coperti dai loro mantelli, non era difficile capire che erano puri muscoli. Nient’altro che macchine da guerra. Non potei vedere molto dall’altro lato dello stadio, ma Sherri, una delle cassiere della libreria, mi raccontò in modo molto eloquente che facevano ‘paura da morire’. Ora lei è all’ultimo anno di università, quindi la sua ultima partecipazione all’offerta risale proprio all’anno scorso. Ci disse che non poteva esserne più grata.
Mi ero chiesta perché tutte le donne camminassero in fretta e in silenzio con la testa china, ma immagino che il motivo fosse quello. Non che possa biasimarle. Se qualcuno mi fissasse come se volesse squarciarmi la gola – ancora una volta, è una frase di Sherri, non mia – non vorrei guardarlo negli occhi nemmeno io. Soprattutto sapendo che potrebbe legalmente prendermi contro la mia volontà.
Quindi sì, testa bassa e passo veloce.
“Sei a posto?” Lizzie me lo chiede con una spavalderia che so essere finta, ma le voglio bene lo stesso per il suo tentativo di essere forte per entrambe. Si passa la lingua sulle labbra e poi tira fuori dalla borsa un tubetto di rossetto lucido. Quasi non riesce a guardarmi negli occhi.
“Sì. Andrà tutto bene.” Le do un buffetto su una mano prima di accostare per ritirare i nostri caffè e poi partire. È il momento di entrare in scena, per così dire.
“Certo che sì.” Preme le labbra tra loro dopo aver applicato uno strato di quel brillante rossetto, ma noto che la sua mano trema. “E poi andremo a fare casino alla festa di Jake.” Mi sforzo di rivolgerle un sorriso e cerco di scrollarmi di dosso il nervosismo. Se non per me, per lei. Almeno posso concentrarmi sulla festa della serata invece che sull’offerta. Arriviamo all’università pochi minuti dopo e io parcheggio in uno dei posti auto riservati a ‘coloro che partecipano all'offerta’. Spengo il motore e prendo le mie cose dal sedile posteriore, tenendo per me i commenti sprezzanti che mi passano per la testa.
“Pensi che Mike ci sarà?” mi chiede Lizzie, mentre apre la portiera. La seguo e cammino velocemente con lei verso l’ingresso dello stadio, cercando di capire cosa mi stia chiedendo. Ah sì, giusto. La festa di Jake. Mancano pochi minuti allo scoccare dell’orario previsto per l’offerta. Se non fai in tempo, sei costretta a lasciare la città. Presumibilmente. Nessuno rischia mai di essere cacciato da un’area protetta, quindi non so se quella particolare legge verrebbe realmente applicata. Non che abbia intenzione di scoprirlo di persona.
“A me ha detto che sarebbe venuto.” Lei sta cercando di decidere se voglia o meno provarci, con Mike. Non credo che dovrebbe. Lui continua a presentarsi in libreria solo per flirtare con lei e non compra mai niente. Lavora nell’impresa edile del padre dall’anno scorso, quando ci siamo diplomati tutti. Ogni volta che gli propongo di comprare qualcosa, mi dice sempre che non ha bisogno di libri e che non ha tempo per leggere. Però qualche libro gli sarebbe utile. È un po’ un cretino, e lei meriterebbe molto di più.
“Hai davvero una cotta per Mike?” le chiedo, senza preoccuparmi di nascondere il mio disprezzo. A me piacciono i colletti blu, gli operai. Il solo pensiero di quelle mani ruvide su di me mi fa venire i brividi sulla schiena, in senso positivo. Ma non mi piacciono gli stronzi. E Mike è uno stronzo, molto più di qualsiasi altra cosa si possa dire di lui. Lei mi risponde solo con un’alzata di spalle, mentre entrambe mettiamo nomi e firme all’ingresso. Dopo aver ricevuto un opuscolo, saliamo i gradini d’acciaio delle tribune e ci sediamo in fondo. Mentre procediamo, getto l’opuscolo nella spazzatura. È pieno di informazioni su Shadow Falls e su come sia nato il trattato. Lo lessi già l’anno scorso e a me la storia non piace. E anche se mi piacesse, quello non è un fatto storico che mi interessi leggere.
Fondamentalmente serve a indorare la pillola dell’unica richiesta insindacabile dei licantropi. Se vieni scelta, devi partire con loro all’istante. Non puoi fare le valigie, né salutare amici e parenti. Ti prendono. Così, semplicemente. Non ho bisogno di un opuscoletto graficamente accattivante perché l’informazione mi sia più chiara.
“Voglio davvero perdere la verginità prima dell’università.” Quell’assurda affermazione mi fa tornare al presente.
Riporto lo sguardo su Lizzie. È praticamente l’unica vergine che conosco. Mi chiedo se me l’abbia detto in questo momento perché sta cercando in tutti i modi di distrarsi, visto che presto dovremo metterci in fila. Anche se così non fosse, sono io ad aver bisogno di pensare ad altro, quindi va bene così.
Abbiamo deciso di fare un anno di pausa tra il liceo e l’università per mettere da parte i soldi, e ciò significa che ha solo pochi mesi per realizzare il suo progetto. Ammesso che faccia sul serio.
“Davvero?” Non posso fare a meno di mettere in dubbio i suoi propositi. Non ha mai mostrato alcun interesse prima d’ora. Annuisce, ma subito dopo si morde un labbro. So che vuole la mia approvazione. Non che io sia un’esperta o chissà che altro, ma sono molto più a mio agio con il sesso.
“Perché?” proseguo, e lo chiedo in tutta sincerità. “Non è proprio come la gente lo dipinge.” Prendiamo posto e guardiamo il palco vuoto mentre il signor Horga, il sindaco di Shadow Falls dai capelli grigi, si fa strada attraverso il campo con un microfono wireless. “Dico sul serio, mi diverto di più con il mio vibratore.” Lei ride di me e torna a bere il suo caffè.
“È solo che mi sento proprio un’emarginata, sai?”
“Già, so cosa vuoi dire.” Siamo sempre state due piselli in un baccello, che ballano a un ritmo diverso da tutti gli altri. Le stringo una mano con l’intenzione di dissuaderla dall’inseguire Mike, ma all’improvviso l’intero stadio ammutolisce e i nostri sguardi vengono involontariamente attirati verso l’ingresso, in attesa che i mutaforma entrino e si mostrino. La loro presenza autorevole si fa sentire prima di ogni altra cosa. Il mio cuore manca un battito e il sangue si raffredda nelle vene. È opprimente. Deglutisco a fatica. Loro sono qui.
“Oh, merda,” sbotta Lizzie in un basso sussurro. Ha fatto cadere il bicchiere e quel poco di caffè che era rimasto si è rovesciato sul cemento davanti a noi. Il tremore delle sue mani aumenta. “Mi dispiace,” sussurra, e metà delle persone intorno a noi le lancia un’occhiata diffidente prima di voltarsi verso i licantropi ammantati che attraversano il campo verso il palco.
“Vieni qui,” le dico, accorata come se l’avessi vista fuggire, quando invece è ancora proprio accanto a me.
“Ti è finito sulle scarpe?” La guardo come se avesse perso il senno, volendo silenziosamente farla tacere, ma quando la osservo mentre cerca di ripulire il pasticcio mi accorgo che la sua espressione è angosciata.
“Non è arrivato fino a me,” le dico a bassa voce, concentrandomi sull’alleviare la sua preoccupazione. Vorrei però avere qualcosa per aiutarla a raccogliere il caffè versato. Lei ha solo il minuscolo tovagliolo che era avvolto intorno al bicchiere, che quindi è già inzuppato e inutile. Ci rinuncio e faccio una risatina prima di tornare a guardarla, cosa che in risposta almeno la fa sorridere.
Il suo sorriso mi fa sentire come se andasse tutto bene. Solo pochi secondi dopo il mio si spegne, mentre sento sprofondare il cuore nel petto. Cerco di deglutire, ma la gola mi si chiude quando tre licantropi girano la testa nella nostra direzione. Il loro sguardo su di noi è come una coperta fredda drappeggiata sulle spalle, e mi si azzera la salivazione. Cazzo.
“Ecco, così va meglio.” Il commento di Lizzie rompe l’incantesimo. Emetto un piccolo respiro di sollievo quando mi rendo conto che lei non ha notato i licantropi che ci fissavano.
Le prendo la mano e la sento calda nella mia.
“Ehi, tesoro, è tutto a posto,” le dico.
Lei mi risponde con la stessa frase. È quello che facciamo da anni quando abbiamo paura. La sua voce è più calma e più confortante della mia. Sembra che non le importi nulla della loro presenza, il che fa miracoli per i miei nervi. Grazie a Dio è forte lei, quando io non ci riesco. Mi stringe forte la mano e mi rivolge un bel sorriso. “Andiamo lassù e torniamo.” Mi costringo a fare un sorrisetto e annuisco. Su, e poi subito giù. Sembra quasi semplice, a metterla così.
“A testa bassa,” aggiungo, per andare sul sicuro.
Guardo i quattro uomini che ora sono sul palco, fermi, in fila. I voluminosi mantelli coprono interamente i loro corpi e i loro volti sono in gran parte nascosti dai cappucci. In piedi, con le ampie spalle e le mani nascoste dietro la schiena, emanano pura virilità e dominio. Respiro a fondo.
“Ti tengo, piccola.” Mi bacia il dorso della mano, ma non la lascia. È una buona cosa, perché nemmeno io ho intenzione di lasciarla andare.
Il signor Horga ha già iniziato a chiamare i nomi. Lizzie e io ci assicuriamo di essere in fondo alla fila, dato che entrambi i nostri cognomi iniziano per W. Siamo proprio le ultime, a parte una ragazza più grande, che riconosco perché frequentava la nostra scuola – credo che fosse due anni più avanti di noi – e che ha i più vivaci capelli rossi che io abbia mai visto. Dovrebbe essere tra me e Lizzie. Non le abbiamo mai parlato, l’abbiamo solo vista in giro per la scuola, ma questa rossa non sembra affatto aver voglia di chiacchiere e quindi ci facciamo i fatti nostri. Nonostante continui a fissare le nostre mani intrecciate come se volesse disperatamente prendere il suo posto tra di noi, ho intenzione di aspettare fino all’ultimo secondo per mettermi dietro di lei. Sarò l’ultima persona a salire sul palco. La mia ansia sale alle stelle.
“Chissà che aspetto hanno.” La curiosità di Lizzie non conosce limiti, anche se stavolta le trema la voce. In questo momento non potrei essere più grata per il diversivo e faccio di tutto per ignorare quel tono ansioso. Ho bisogno di qualcosa che mi faccia distrarre, e ne ha bisogno anche lei.
“Riusciremo a vedere solo i loro volti, e questo solo se li guarderemo direttamente. Cosa che non dovresti fare,” mormoro in risposta. Non sono così audace. Guardando il palco davanti a noi, vedo che è già passata circa la metà delle ragazze. Alcune si avvicinano con sicurezza, ma tutte scendono i gradini dall’altra parte con la testa china e gli occhi fissi sui piedi. Il palco è così lungo che sopra ci sono almeno dieci ragazze alla volta. I quattro mutaforma sono distribuiti in modo tale che non si è mai a più di qualche metro di distanza da uno di loro. Se ne stanno lì come statue, senza muoversi né dire nulla. Un brivido mi corre lungo la schiena. Non sono una codarda, ma ho intenzione di tenere anch’io lo sguardo basso per tutto il tempo.
Non riesco a sopportare la tensione, così spiattello la prima cosa che mi viene in mente. “Sherri ce l’aveva detto, che hanno tutti una scopa nel culo.” Ci stiamo avvicinando al palco e giuro che il mio cuore sta cercando di saltarmi fuori dal petto per fuggire. Deglutire è inutile, ho la gola improvvisamente secca.
“Le loro facce sono diverse dalle nostre?” chiede la ragazza che cerca di mettersi tra noi.
“Non credo.” Faccio in tempo a darle questa risposta, ma poi il mio respiro accelera freneticamente quando vedo che ormai siamo vicino alle scale. Lizzie finalmente distoglie lo sguardo dal palco e mi mette le mani sulle spalle, mentre continuiamo ad avanzare.
“Ehi, tesoro, è tutto a posto,” sussurra, rassicurante. “Ora dimmelo anche tu.”
“È tutto a posto, Lizzie. Non succederà nulla di male, né a te né a me. Te lo prometto.” Faccio un rapido conto e concludo che ci sono solo quattro donne davanti a noi.
“Ti voglio bene, Lizzie.” Le lacrime cominciano a salirmi agli occhi. Dovevo dirglielo. Non si sa mai.
Ora ne mancano tre.
“Non ci stiamo dicendo addio,” sussurra, con aria speranzosa, e io annuisco.
Ora ne mancano solo due.
“Anch’io ti voglio bene.” Mi bacia una guancia mentre viene chiamato il suo nome. Finalmente le lascio la mano e sento subito la perdita.
Ora ne manca una.
Respira.
La signorina Capelli Rossi procede.
Respira.
Finalmente chiamano il mio nome, segnando la fine dell’offerta di quest’anno. Manca davvero poco. Solo pochi passi e sarà tutto finito.
Anche se sento il mio nome risuonare nelle orecchie, il mio corpo vacilla e le dita delle mani e dei piedi si intorpidiscono. Faccio forza sulle gambe tremanti per salire i quattro gradini, e cerco di controllare il respiro. Passandomi la lingua sulle labbra secche, stringo forte tra le mani la pochette appesa al polso, come se potesse proteggermi. Mentre cammino il palco di metallo risuona sotto i tacchi, e mi concentro su quel rumore. Ricordo a me stessa che devo solo fare un passo alla volta, e poi sarà tutto finito.
Mentre quel pensiero rassicurante mi consente si smettere di trattenere il respiro, accadono tre cose contemporaneamente: il licantropo che ho appena oltrepassato inizia a scendere dal palco, una grossa mano si posa sulla mia schiena e io sento Lizzie urlare. Sollevo subito lo sguardo per individuarla, ma prima di poter correre da lei vengo tirata contro un petto duro da un braccio robusto fatto di muscoli tesi. Sono trattenuta saldamente, non posso muovermi e un urlo mi lacera la gola. Le mie dita lavorano freneticamente nel tentativo di divincolarmi dal braccio del licantropo e le mie unghie si conficcano nella grande mano aperta sul mio ventre, ma è tutto inutile.
Lizzie sta ancora urlando e io non riesco nemmeno a vedere chi mi tiene prigioniera, posso solo fissare lei che lotta per liberarsi. “Qualcuno la aiuti!” grido. Prendere a gomitate il muro di muscoli solidi alle mie spalle non serve a nulla. Il panico mi incendia la pelle e intorno a me tutto comincia a vorticare nel caos. Mi proietto di peso in avanti con tutte le forze, cercando di spingermi via ancora una volta dalla bestia che mi trattiene e gridando il nome della mia amica.
“Lizzie!” urlo, mentre i miei piedi si sollevano da terra. Il mutaforma che mi ha preso mi stringe il braccio intorno alla vita, sollevandomi come se non avessi peso. Con l’altra mano fa pressione su un lato della mia testa, avvicinando il mio orecchio alle sue labbra. Questa mossa energica fa sì che tutto il mio essere si immobilizzi all’istante.
“Falla calmare.” La voce baritonale di lui sussurra e il suo respiro brucia sul lobo del mio orecchio. Il suo tono è gentile, ma non nutro alcun dubbio sul fatto che quelle parole siano un ordine. Alla fine la mia mente registra ciò che ha detto e io osservo la scena come se fosse al rallentatore. Il palco ora è vuoto, tranne che per il mutaforma che tiene in braccio Lizzie, che sta lottando come una pazza con le lacrime che le rigano il volto paonazzo, e per me. A bloccare le scale ai lati del palco ci sono gli altri due mutaforma, che fungono da guardie.
Nello stadio affollato, nessuno si muove di un millimetro da dove si trova. Nessuno viene ad aiutare Lizzie. Ci sono solo io. Gli unici esseri umani in qualche modo vicini a noi sono il signor Horga, fermo sull’erba dove mi trovavo io fino a poco prima, con un’espressione di totale shock impressa sul volto, e la signorina Capelli Rossi. È rannicchiata su se stessa sul lato del palcoscenico dove le è stato permesso di andare ad avventurarsi. Tutti tacciono per il terrore e la sorpresa, mentre Lizzie grida e piange, stretta al petto del mastodontico mutaforma. Batte i pugni contro di lui, senza alcun risultato, ma il licantropo lo permette, senza fare alcuna mossa per fermarla. È inutile, e lui la lascia sprecare le forze.
Dopo aver ripetuto il suo comando, la bestia che mi ha trattenuto mi libera lentamente. Annuisco, e le lacrime che si erano raccolte agli angoli degli occhi mi scendono piano sulle guance, mentre singhiozzi sommessi scuotono il mio corpo. Non Lizzie. Non la mia migliore amica. Non possono prenderla. Alla fine, mentre vengo rimessa a terra, ne assumo piena consapevolezza. Stanno prendendo Lizzie. Non appena i miei tacchi a spillo toccano il suolo mi precipito verso di lei, uscendo dal mio stato di trance. Getto le braccia intorno alla parte del suo busto che riesco a raggiungere, quella non trattenuta.
È surreale. Darei qualsiasi cosa al mondo per negare che tutto ciò stia accadendo. Per rendermi conto che si tratta solo di un incubo. Mi sento quasi trapassare la schiena dallo sguardo del licantropo alle mie spalle e ricordo cosa si aspetta da me: devo farla calmare.
“Lizzie!” Devo gridare a pieni polmoni perché mi senta. Dato che non risponde, urlo di nuovo il suo nome. Ma questo non ferma l’angoscia che mi sconvolge nel profondo.
“Lizzie!” Lei smette per un attimo di gridare e mi guarda con occhi lucidi e spaventati mentre mi si aggrappa con un mezzo abbraccio, l’unico che le è consentito, con una forza tale che sono sorpresa di non cadere. Non appena si acquieta, soffocando i singhiozzi nell’incavo del mio collo, il mutaforma che l’ha trattenuta la rimette delicatamente a terra. Lei per poco non crolla, mentre i tacchi a spillo scivolano prima di fare presa sul pavimento del palco. Sono vagamente conscia del fatto che le persone che ci guardano sono in preda a un misto di emozioni. Alcuni stanno piangendo, altri hanno iniziato a urlare. Ma tutto ciò su cui riesco a concentrarmi davvero sono i mugolii di Lizzie.
Mi sento attraversare da una nuova forza; devo cercare di dire qualcosa che possa tranquillizzarla. È come un’onda, ma la fermo. Il mio corpo entra in tensione quando sento il licantropo di prima avvicinarsi da dietro. Abbassa una mano sulla mia spalla. Dapprima stringe con forza, facendomi irrigidire, ma poi allenta la presa e inizia a massaggiarmi la nuca con un pollice, muovendolo in cerchi rassicuranti. Sbatto le palpebre per diradare la nebbia della paura e della confusione e guardo oltre Lizzie, che ha ancora il volto premuto nell’incavo del mio collo. Non ha ancora smesso di piangere istericamente.
“Va tutto bene,” dico. Le parole mi escono di getto, anche se so che è una bugia. Il mio respiro è caldo nell’aria che ci separa, e il cuore mi batte nel petto con un impeto tale che faccio fatica a sentire la mia stessa voce.
La stringo più forte quando vedo il volto del licantropo dietro di lei. Mi sta fissando con l’oscurità negli occhi, come se gli avessi rubato la preda. Suppongo che sia esattamente quello che ho fatto. La sua mandibola scolpita è coperta da una scura barbetta castana e i suoi occhi stretti su di me sono color argento, ma a parte questo sembra umano. Sarebbe assolutamente mozzafiato se potesse trasformare il suo cipiglio in qualcosa di meno minaccioso. Alla sua espressione severa faccio un passo indietro e l’istinto di sopravvivenza mi sprona a fuggire, cosa che però mi viene impedita dal mutaforma che mi tiene stretta da dietro. Siamo in trappola. Lizzie solleva lo sguardo su di me quando quel pensiero mi fa trasalire. Il mio sguardo corre dal suo a quello argentato del licantropo dietro di lei. Mi irrigidisco di nuovo quando due mani mi afferrano i fianchi per bloccarmi.
“Seguilo e portala con te,” sussurra l’uomo autoritario dietro di me, e il suo respiro caldo mi solletica ancora il collo mentre le sue labbra mi sfiorano l’orecchio. Mi lascia senza dire altro e io cerco di iniziare a camminare sostenendo il peso di Lizzie. Inciampiamo e per poco non cado, ma le mani forti dietro di me si allungano a darci stabilità prima di spingermi ad avanzare. Respiro con affanno e comincio a tremare in tutto il corpo quando capisco che sto per perdere Lizzie per sempre. Mi stanno usando per calmarla e per condurla verso un destino sconosciuto.
“No,” sussurro, con un tono di sfida. “Non potete prenderla.” Cerco di protestare, ma le stesse mani forti e poi qualcos’altro, qualcosa che non sono in grado di combattere, mi afferrano.
Il mio respiro vacilla e mi sento subito stordita. Non posso. Non posso farle questo.
L’ultima cosa che sento prima di vedere tutto nero è l’urlo di Lizzie.
Apro gli occhi, e la sensazione di un cuscino sotto la testa e di una coperta morbida e calda ad avvolgermi non è ciò che mi sarei aspettata al risveglio. Una parte di me crede che sia stato tutto un incubo, finché la realtà non mi si ricompone intorno. Il rombo di un’auto è il mio primo indizio, e sentendo della pelle pregiata sotto una mano capisco che devo essere sdraiata sul sedile posteriore. Dopo un attimo determino che si sta muovendo abbastanza velocemente e che sono l’unica occupante del retro di quel veicolo, qualunque e di chiunque sia. Azzardare con cautela un’occhiata a ciò che mi circonda dimostra che ho ragione.
No! Il cuore accelera le pulsazioni e riesco a malapena a respirare.
“Scommetto che è incazzato,” dice una voce dal timbro cupo in un sussurro sommesso.
“Per non essere in questa macchina?” risponde un’altra voce maschile. Che dopo una pausa prosegue. “L’altra si è fatta male. Doveva rimanere con lei.”
Lizzie. Cercando di stare ferma e di non farmi prendere dal panico, provo a ripercorrere l’accaduto. No, non può essere ferita, non può essere. Soffoco le parole insieme al bisogno di gridare il suo nome.
“Pensi davvero che dovessimo dividerle?” chiede la voce burbera e più disinvolta dal sedile anteriore, dopo un momento di silenzio. Rimango completamente immobile, in ascolto. L’altro uomo, in risposta, per prima cosa sbuffa. Dentro di me so che devo darmi una calmata. Mi hanno preso. Il cuore mi martella nel petto. Dov'è Lizzie?Non può essere ferita. Ti prego, non lasciare che le facciano del male. Le lacrime mi pungono gli occhi, ma le scaccio. Non voglio che gli uomini mi sentano piangere. Devo fare silenzio.
“Cazzo, no, non avremmo dovuto.” Entrambi emettono risatine basse e roche. Il mio corpo trema e io cerco con tutta me stessa di rimanere immobile.
“Almeno abbiamo noi quella calma.”
“Spero che lo rimanga. Tra un po’ se ne faranno una ragione e andrà tutto bene.”
Osservo con gli occhi socchiusi la figura scura sul sedile del passeggero, che fa un cenno di assenso con la testa.
“La senti, lì dietro?” Mi si stringe lo stomaco e il respiro mi si blocca nei polmoni. Sbarro gli occhi, ma subito dopo li richiudo e fingo di essere ancora priva di conoscenza.
“Il tuo cuore sta battendo così forte che sono sicuro che tutti i passeggeri dell’auto dietro di noi possano sentirlo, Grace.” Altre risatine roche seguono quell’affermazione. Deglutisco, e la mia gola irritata protesta per il movimento. Conficco lentamente le unghie nel sedile. Parlano come se fosse tutto uno scherzo. La rabbia si mescola alla paura, ma il terrore prevale ancora su tutto.
Apro gli occhi con riluttanza e l’uomo sul sedile del passeggero mi guarda. Apro la bocca per parlare, ma l’unica cosa che riesco a emettere è un sussurro. “Lizzie?” Nella mia voce c’è un tono di supplica che è innegabile e che odio, ma che non voglio respingere.
“Sta bene. È in macchina dietro di noi con il nostro Alfa. Ha dovuto calmarla lui, perché nessuno di noi ci riusciva. La tua amica è forte.” L’uomo ha uno sguardo gentile, mentre mi risponde con voce rassicurante. No, non l’uomo. Il licantropo. Devo sembrargli ridicola, rannicchiata sotto la coperta. Stringo più forte la morbida stoffa e interrompo il contatto visivo per fissare il pavimento dell’abitacolo.
Era da tempo che non mi sentivo così, sola e spaventata. Impotente e terrorizzata. Da tempo, sì… ma ricordo come affrontare quello stato d’animo. Se l’ho superato in passato, lo supererò sicuramente anche questa volta.
“La rivedrò?” chiedo, con il respiro corto. “Presto?” aggiungo poi, rapidamente.
“Certo,” dice lui. La risposta è immediata e il sollievo fa perdere le forze a ogni parte di me. Fatico a mantenere il controllo, mentre lui prosegue. “Stavo per sedermi lì dietro con te, ma ho pensato che avresti voluto un po’ di spazio.” Il suo tono è leggero, quasi amichevole. Visto che non distoglie lo sguardo, gli rivolgo un piccolo ed esitante cenno di assenso. È strano provare gratitudine in un momento come quello.
“Come immaginavo, infatti.” Si sposta sul sedile, ma con la coda dell’occhio vedo che mi sta ancora guardando. Se non fossi così terrorizzata, potrei pensare. Potrei elaborare un piano. Invece ho la mente completamente annebbiata.
“Avrai certamente delle domande.” Stavolta è il guidatore a parlare.
Il mio cuore batte una volta, poi due, mentre qualche istante trascorre nel silenzio. “Chi siete?” Entrambi ridono. Il loro atteggiamento rilassato mi tranquillizza, anche se solo leggermente. Se hanno intenzione di ucciderci, sono piuttosto gentili con le loro prede.
“Io sono Lev,” risponde il colosso sul sedile del passeggero, con un ampio sorriso. “E lui è Jude.” Per quanto voglia essere amichevole, la sua mole è agghiacciante. Dopo quel rapido accenno al guidatore tace di nuovo, ma mi offre un sorriso affascinante, sebbene a denti stretti. Annuisco di nuovo e sostengo fermamente il suo sguardo. Il loro modo di fare disinvolto allevia ancora un po’ la mia preoccupazione. Mi metto lentamente a sedere, contro la volontà del mio cuore che batte a mille, e lascio cadere la coperta fino alla vita.
Se vogliono giocare a questo gioco, a questa versione in cui tutto va bene, mi adeguerò. Fino a quando non mi restituiranno la mia amica e non fermeranno queste dannate auto, così potremo tornare a casa. Ricordo a me stessa di avere una spina dorsale, da qualche parte all’interno del mio corpo. Non ho lottato tanto e fin da subito, nella mia vita, per poi lasciare che questi stronzi distruggano tutto. Qualunque cosa stiano cercando, daremo loro qualcos’altro. Troverò un modo. Ci riesco sempre.
“Stai comoda?” chiede il primo licantropo, Lev.
Solo ora mi rendo conto che i mantelli sono spariti e che il mutaforma che mi fissa è bellissimo. Come gli altri licantropi ha gli occhi color argento, ma non assomiglia a quello che teneva Lizzie allo stadio. Non ha uno sguardo duro come quello del suo rapitore. Nel ricordarlo, il cuore accelera le pulsazioni e mi sudano le mani.
“Sto bene,” dico, anche se il mio tono non è deciso come vorrei. “E Lizzie?”
“Anche lei. È solo spaventata.” La sua risposta è smorzata da qualcosa e io lo imploro con lo sguardo di farmi sapere di più, ma lui non aggiunge nulla.
Lev ha un accenno di barba e i suoi capelli scuri sono abbastanza lunghi da poter essere afferrati in cima alla testa, ma corti ai lati. Sembra anche che si sia rotto il naso almeno una volta, ma questa imperfezione, sul suo viso altrimenti caratterizzato da una bellezza classica, non fa che aumentare il suo fascino virile. Mi sposto sul sedile in modo da poter vedere meglio Jude. I suoi capelli neri sono corti e il viso è perfettamente rasato. Ma non riesco a scorgere molto altro dei suoi lineamenti, a parte le labbra piene.
Se non fosse per gli occhi argentati e le spalle larghe, mi chiederei se si tratta veramente di licantropi.
Le loro teste toccano quasi il soffitto dell’abitacolo e nell’auto la loro struttura massiccia sembra completamente fuori posto. Mi ricordano delle sardine ammassate in una scatoletta. Non può essere una sistemazione comoda. I due emanano vibrazioni a poli opposti. Lev potrebbe essere un ragazzaccio motociclista, e Jude un disciplinato ufficiale dell’esercito. Ma non è così, sono licantropi. Non posso permettermi di dimenticarlo, nemmeno per un secondo.
“Siete tutti così grossi?” La domanda mi esce di bocca spontaneamente, senza che io me ne renda conto. Attribuisco la colpa al precedente svenimento e allo strano stordimento che non accenna a diminuire, e mi abbandono contro il poggiatesta cercando di ritrovare lucidità.
Il lento sorriso di Lev è dannatamente sexy. “È quello che chiedono tutte, e…” inizia.
Prima che possa terminare la frase, Jude gli assesta con il pugno un duro colpo sul petto.
“Taci.” L’unica reazione di Lev è una risatina bassa e profonda che fa tremare tutta la parte superiore del suo corpo e l’intero veicolo.
“Sono sicuro che lei ha più senso dell’umorismo di te,” dice, e mi sorride. “Volevi sentire il resto?”
Le mie labbra si schiudono, ma le parole non escono. Mi sembra di essere sul punto di perdere la testa. “Non sto bene.” Pronuncio la frase a fatica e odio aver espresso quello stato d’animo ad alta voce. Le lacrime che mi pungono gli occhi e il gelo che mi circonda… mi fanno odiare la situazione ancora di più. Tutto ciò è irreale.
“Ah, merda.” Lev si passa le mani tra i capelli e poi mi guarda con dispiacere. “Qualcosa non va?” Il suo volto è l’emblema della preoccupazione e il suo sguardo argenteo è del tutto sincero. L’accaduto è stato assolutamente folle sin dal nostro arrivo allo stadio e la sua gentilezza è la mia rovina. Esplodo in orrendi singhiozzi mentre scuoto selvaggiamente la testa. Tutto ciò è decisamente irreale. Vorrei potermi svegliare.
“Non sto bene,” ripeto in un sussurro, sopraffatta dal terrore.
“Cazzo.” Lev si gira e in qualche modo riesce a manovrare il suo corpo imponente tra i due sedili anteriori per raggiungermi in quello posteriore. Provo un immediato senso di claustrofobia mentre il mio spazio personale si riduce a zero.
“Così è peggio,” sbotto istantaneamente, mentre spingo con una mano contro il suo petto massiccio.
“Voglio solo tenerti vicino, d’accordo?” Lev alza le braccia ma non le muove, aspettando che io risponda. La sua voce è calma e il suo aspetto è così invitante che non posso fare a meno di annuire. Quelle braccia muscolose si stringono attorno a me, praticamente consumando il mio corpo e facendomi sentire come una bambina piccola e spaventata. Lascio andare le mie inibizioni e mi avvicino a lui, nascondendo il viso sul suo ampio petto. Ogni grammo di lui è puro muscolo, quindi è dannatamente compatto. Ma almeno è caldo e le delicate carezze su e giù per la mia schiena sono rilassanti.
Ci vuole un po’ di tempo, accompagnato dal rombo del motore e dal silenzio alla guida, ma lentamente sento che mi sto calmando. Scostando il viso da lui, noto le macchie di mascara sulla maglietta bianca tesa sul suo petto. Dentro di me rabbrividisco, ma il mio respiro si placa quando sollevo lo sguardo verso i suoi occhi argentati, per poi riabbassarlo immediatamente. “Andrà tutto bene, te lo prometto,” mi dice Jude con calma. E Lev concorda. “Starai meglio.” Le loro parole e il modo di fare mi mettono a mio agio. Devo essere sotto shock. Non c’è altra spiegazione. Quella consapevolezza mi dà una nuova scossa, e la lucidità accresce ancora una volta la mia ansia.
Gli acuti occhi argentati di Lev non mi lasciano, mentre mi parla. “È tutto a posto?” Senza più sollevare lo sguardo né su di lui né altrove, annuisco leggermente, mordendomi un labbro mentre mi fermo una ciocca di capelli dietro un orecchio. Inspiro profondamente, poi mi giro a guardare fuori dal finestrino. Non c’è nulla da vedere, se non alberi. Continuo a mordermi nervosamente il labbro. “Dove ci state portando?” chiedo, senza avere il coraggio di guardare negli occhi nessuno dei due. Il mio cuore galoppa e il rumore del battito è quasi eccessivo. Mi sento come se stessi per svenire. Cala il silenzio e nessuno dei due sembra voler rispondere.
“Mi avete drogato?”
Il rapido no è seguito da una brusca inspirazione e poi lui nega di nuovo. “Non ti abbiamo drogato.”
La mia ansia sale e scende, su e giù. Riesco solo a infilare le mani tra le cosce per non farle tremare.
Lev mi posa delicatamente una mano su un braccio, per attirare la mia attenzione. “Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Non ti farò del male, te lo prometto. Nessuno ne ha l’intenzione.” Finalmente lo guardo. Ha le sopracciglia inarcate e le labbra leggermente socchiuse. Sembra che stia cercando di far uscire un animale ferito da sotto una macchina, o qualcosa del genere. Annuisco e mi faccio forza per porre l’unica domanda che conta in questo momento.
“Perché ci avete preso?” Il suo sguardo d’argento mi cattura brevemente e poi i suoi occhi si spostano su quelli di Jude nello specchietto retrovisore. Jude tace e Lev serra le labbra. La loro esitazione mi fa entrare in affanno.
“Beh, io non ho preso te personalmente.” Questa è l’unica risposta che Lev mi dà alla fine, posandosi una mano sul solido petto per dare maggiore enfasi all’affermazione. Jude, davanti a noi, sbuffa e poi scuote la testa.
La rabbia mi monta dentro, scavandomi una profonda ruga sulla fronte mentre aggrotto le sopracciglia.
“Abbiamo sentito la tua amica chiamarti Grace. Va bene se usiamo questo nome?” chiede Jude.
“Sì, va bene.” Sono sorpresa di quanto suoni decisa la mia voce.
“D’accordo, Grace,” inizia Jude. “Il nostro Alfa è quello che…” Esita e dallo specchietto lancia un’occhiata fuori dal lunotto posteriore prima di guardare di nuovo dritto davanti a sé. “Ehm…”
“Mi ha afferrato?” dico io, per completare la sua frase. Le mie spalle si irrigidiscono al ricordo delle mani del loro Alfa su di me. Del suo pollice che tracciava cerchi rilassanti sul mio collo mentre mi ordinava di calmare Lizzie. Ho un nodo in gola talmente grosso che non so come io riesca a respirare.
Non c’è tempo per i convenevoli. Mi servono informazioni. È così che sopravviveremo. È così che salverò me stessa e Lizzie. A ricordarmelo è il costante battito che mi rimbomba nel petto. Guardo Lev che si è rilassato contro lo schienale, occupando tutto lo spazio sul sedile, mentre mi osserva con un sorriso divertito che gli si allarga sulle labbra.
“Sì, ti ha afferrato.” Jude deglutisce a fatica e lancia un’occhiata alla macchina dietro di noi. Lizzie è in quella macchina. So che è lì. Lei sta bene. Io sto bene. Troverò un modo per metterci in salvo. Lo farò. Che io sia dannata se lascerò che accada qualcosa a una di noi due.
“Okay.” Pronuncio la parola nel tentativo di convincerlo a continuare. Lui schiocca la lingua e incontra il mio sguardo nello specchietto.
“Non vuole che ne parli con te, Grace.”
“Perché no?” Non posso fare a meno di arrabbiarmi. Ho bisogno di sapere. “Ho il diritto di sapere.”
“Vuole dirtelo lui stesso.” Lascio che le sue parole rimangano sospese nell’aria per un secondo prima di rendermi conto che il loro Alfa doveva essere all’offerta, se è stato lui a prendermi. Perché prendermi e poi salire su un’altra macchina, in tal caso? Piego le labbra in una smorfia e le mani mi si serrano a pugno in grembo. Non ho tempo da perdere aspettando chissà cosa.
“Perché non sale in macchina con me se mi ha preso lui?”
“Per via della tua amica Lizzie,” risponde, e il mio cuore si ferma al solo sentir pronunciare il suo nome.
“Hai detto che stava bene,” sbotto, interrompendolo mentre mi piego un po’ in avanti sul sedile per avvicinarmi a lui. È sciocco, lo so, ma non posso evitare la nota di rabbia che si insinua nel mio tono alla fine. Devo restare calma, ne sono consapevole. Stare al gioco, ottenere informazioni. Non posso lasciare che il mio nervosismo prenda il sopravvento sulla situazione.
“È così. Non preoccuparti,” mi rassicura Lev, spingendomi delicatamente per farmi appoggiare nuovamente allo schienale. “Devin vuole che tu ti metta la cintura di sicurezza.”
Lo guardo come se fosse impazzito, e sbuffo. Cazzo, sta scherzando? “Chi diavolo è Devin?” Non mi importa di aver alzato la voce. Ignorando completamente Lev, mi volto di nuovo verso Jude. “E cos’è che stavi iniziando a dire su Lizzie?” chiedo, con il respiro accelerato e la gola stretta. Alla faccia di chi dovrebbe mantenere la calma…
“Lizzie non ha alcun problema, ma era estremamente turbata ed è stata un po’ troppo aggressiva nei nostri confronti dopo che sei svenuta.” Annuisco. Sembra proprio una cosa da lei.
“Ma sta bene?” Un tono di minaccia traspare dalla mia voce. È inconfondibile e loro se ne accorgono, a giudicare dalle loro espressioni.
“Sì, ma è per questo che Devin, il nostro Alfa, è rimasto con lei e con i suoi… le sue guardie.” I due licantropi si scambiano di nuovo un’occhiata nel retrovisore. “Per tenere tutti tranquilli.”
Guardie?Tranquilli? Sfregare le mani umide sulle cosce non aiuta a non farmi girare la testa. Mi sento come se stessi per scoppiare. Ho perso ogni traccia di lucidità.
“Lascia che ti aiuti con la cintura di sicurezza.” Lev cerca di spingermi contro lo schienale, ma sono ancora preoccupata per Lizzie e non voglio adeguarmi ciecamente alle loro richieste. L’ansia mi devasta la mente e sono sempre più arrabbiata per la loro elusività. Faccio resistenza contro le braccia muscolose di Lev, anche se è come se stessi spingendo contro un muro di mattoni.
“Non voglio indossarla.” Mi rendo conto di sembrare una bambina petulante, ma sto perdendo la testa e sto rapidamente precipitando in una spirale di follia. Ho bisogno di qualcosa a cui aggrapparmi. Ho bisogno di Lizzie. Sembra che Lev voglia dire qualcosa, ma poi chiude la bocca. “Come ha fatto, esattamente, a ‘tenerla tranquilla’?” Lo guardo dritto negli occhi, cercando di fargli pressione perché mi risponda.
“Vuole davvero che tu indossi la cintura di sicurezza,” dice lui alla fine.
Figlio di puttana!