Healthy sleep habits - Vincent Lau - E-Book

Healthy sleep habits E-Book

Vincent Lau

0,0
3,99 €

oder
-100%
Sammeln Sie Punkte in unserem Gutscheinprogramm und kaufen Sie E-Books und Hörbücher mit bis zu 100% Rabatt.
Mehr erfahren.
Beschreibung

Healthy sleep habits helps sufferers of chronic insomnia as well as those who sometimes have a poor sleep to create the basis to get back to a normal sleep schedule. A clear approach guides the reader in determine the source of sleeplessness and to implement then the corrective actions through simple and practical suggestions.

Das E-Book können Sie in Legimi-Apps oder einer beliebigen App lesen, die das folgende Format unterstützen:

EPUB
Bewertungen
0,0
0
0
0
0
0
Mehr Informationen
Mehr Informationen
Legimi prüft nicht, ob Rezensionen von Nutzern stammen, die den betreffenden Titel tatsächlich gekauft oder gelesen/gehört haben. Wir entfernen aber gefälschte Rezensionen.



Indici

Per Paesi

Prefazione e Note dell’autore

Introduzione

Stavamo parlando di Cina...

Cina

Ritorno al Jing

Il gigante con i piedi d’argilla

Strati di confusione

Ci vediamo presto

Shanghai, 13 anni dopo

Le città sull’acqua

Vivo in Cina ma non mi piace la Cina

L’altra metà del cielo

Fuer’dai

Nuove tecnologie cinesi

Una piccola grande App

Fedele alla linea

Vivere e investire nell’incertezza

Il grandissimo fratello cinese

Siamo internazionali, quindi vi controlliamo

Corea del Sud

Amore coreano

Singapore

No Lee Kuan Yew, No Singapore

S'pore

Si però funziona!

Quella volta che rischiai di trasferirmi a Singapore

Taiwan

Perdere la testa a Taiwan

Un giorno qualsiasi a Taipei

Scrivere mandarino a Taiwan

Le due Cine

Hong Kong

Perché vuoi venire ad Hong Kong?

All I want is to spend the next day with you

Fantasmi tra noi

Tailandia

I sorrisi di Chiang Mai

È bello essere ignoranti

Hat Rin and Full Moon Party

Il mio cuore è tuo

Indonesia

Magic mashrooms

Giappone

Treni giapponesi

Ritorno all’infanzia

Sull'altro lato di Honshu

La principessa taiwanese di Saint Tulipe

La bellezza di Kanazawa

Castelli in aria

Soba, sumo, whisky

Vivere in un Ukiyo-e

L’incontro è l’inizio della separazione

Giocare a golf in Giappone

I moderni papà giapponesi

Facciamo Inemuri insieme

Kami no Michi

Purikura

Innovare in Giappone

Metti un giorno a Daikanyama

L’elisir di lunga vita giapponese

Un mondo di Hikikomori

Kumamon, l’eroe di Kyushu

I guardiani silenziosi del Giappone

Capondanno in Giappone

La mia prima volta

Epilogo

La mia bolla d'Asia

Per date

20 Maggio 2021, Tokyo

21 Dicembre 2020, Tokyo

28 Settembre 2019, Kyoto

14 Marzo 2019, Kyoto

10 Maggio 2018, Kyoto

4 Maggio 2018, Kawaguchi

28 Aprile 2018, Nikko

27 Aprile 2018, Matsumoto

26 Aprile 2018, Matsumoto

25 Aprile 2018, Matsumoto

24 Aprile 2018, Kanazawa

23 Aprile 2018, Kanazawa

22 Aprile 2018, Kanazawa

5 Aprile 2018, Hakodate

21 Dicembre 2017, Kyoto

15 Dicembre 2017, Taipei

10 Dicembre 2017, Taipei

5 Dicembre 2017, Taipei

4 Dicembre 2017, Taipei

16 Giugno 2017, Okinawa

8 Maggio 2017, Tokyo

28 Aprile 2017, Pechino

26 Aprile 2017, Pechino

25 Aprile 2017, Pechino

20 Aprile 2017, Shanghai

18 Aprile 2017, Shanghai

17 Aprile 2017, Shanghai

16 Aprile 2017, Shanghai

15 Aprile 2017, Shanghai

14 Aprile 2017, Xitang

13 Aprile 2017, Shanghai

10 Aprile 2017, Miyajima

5 Maggio 2016, Kyoto

19 Novembre 2015, Pechino

18 Novembre 2015, Singapore

17 Novembre 2015, Singapore

16 Novembre 2015, Singapore

15 Novembre 2015, Singapore

14 Novembre 2015, Pechino

13 Novembre 2015, Pechino

12 Novembre 2015, Pechino

8 Maggio 2015, Fukuoka

14 Aprile 2014, Kyoto

25 Febbraio 2007, Hong Kong

15 Dicembre 2005, Hong Kong

2 Gennaio 2005, Shanghai

10 Luglio 2004, Hong Kong

8 Luglio 2004, Seoul

5 Settembre 2002, Bali

29 Agosto 2002, Phitsanulok

23 Agosto 2002, Koh Phangan

19 Agosto 2002, Chiang Rai

17 Agosto 2002, Chiang Mai

2 Gennaio 2002, Nagoya

3 Dicembre 2001, Nagoya

10 Novembre 2001, Tokyo

Prefazione

QUESTO libro non era stato pianificato. "Bolle d'Asia" era stato pensato infatti una decina di anni fa come libro unico, a sè stante. La semplicità della forma e dello stile utilizzati per raccontare le storie al suo interno non potevano farmi prevedere un seguito. E invece mi sbagliavo. Forse il motivo è stato a causa dei tempi in cui viviamo, caratterizzati sempre più da una comunicazione semplice e diretta amplificata dai social; forse è stato invece il contesto storico nel quale il libro è stato presentato in cui tutti noi siamo sempre più portati a pensare di aver visto e scoperto tutto quel c'è da scoprire e che quello che non si è ancora scoperto rimane a portata di una veloce ricerca su Google; o forse, semplicemente, è stato a causa dei temi trattati, soprattutto quando ho parlato senza troppi mezzi termini di Cina. Non lo so. Quello che posso dire di certo peroò, è che "Bolle d'Asia" ha ricevuto molto più interesse da parte dei lettori di quanto mi sarei mai aspettato. E di questto ne sono molto grato.

Ma il mio stupore non è finito qui. Molti dei lettori mi hanno infatti contattato tramite il mio editore non soltanto per ringraziarmi per l'aver raccontato le mie storie vissute in Asia ormai più di vent'anni fa e, nel ringraziarmi, hanno chiesto altre storie. Alcuni hanno voevano che cosa fosse successo dopo il mio addio alla Cina raccontato con tanta passione alla fine del libro. Altri, avendo notato il luogo da cui avevo scritto la Prefazione del libro, mi volevano sapere se avessi mai pensato di scrivere un secondo volume incentrato, questo, sul Giappone piuttosto che la Cina. Altri ancora erano semplicemente interessati ad ascoltare nuove storie, condividere l'Asia con me, "vedendola con i miei occhi e sentendola con il mio cuore", aveva scritto un lettore.

Allora che fare? Se all'inizio queste richieste mi lusingavano, dopo aver notato che invece di diminuire nel tempo esse non facevano altro che aumentare, queste mi hanno fatto seriamente considerare l'idea di pensare ad un nuovo libro. Il materiale, del resto, non mancava. E così, eccomi qui. Ho deciso di accontentare tutti quei lettori che me l'hanno chiesto e di intrattenerne magari di nuovi con questa nuova raccolta di storie, con la speranza di non deludere entrambi. Ho raggruppato in questo libro quanto non ero riuscito a inserire nel primo, un po' per spazio e un po' per la natura delle storie, aggiungendo allo stesso tempo nuove considerazioni sul Giappone, vale a dire il Paese in cui vivo tutt'ora e che, dopo tutto, mi ha da sempre fatto pensare all'Asia come il posto dal quale non posso stare lontano.

D'altronde, come dicevo, di storie da raccontare ce ne sono, capitate queste, sia dopo la mia fuga da Pechino, che molto prima della maggior parte delle bolle, o storie, raccontante nel primo libro. Questa volta ho deciso di raccontare le nuove bolle d'Asia in una maniera diversa rispetto a quanto fatto nel primo libro. Ho pensato di andare al contrario, partendo da oggi, da questi tempi incredibili che noi tutti siamo, nostro malgrado, chiamati a vivere, per partire e fare un viaggio indietro nel tempo, tra i racconti di vita vissuti in Giappone, fino ad arrivare ai primissimi viaggi in Asia, alcuni dei quali, non avevao pututo raccontare con la dovizia di particolari che questi avrebbero meritato in Bolle d'Asia.

Ma c'è forse un motivo più profondo e serio nella scelta dell'andare indietro nel tempo rispetto alla direzione verso il futuro che Bolle d'Asia offriva in uno dei suoi due indici. Tempi incredibili ho detto, mentre mi riferivo al nostro presente. Non ho potuto e non ho voluto pensare a un libro che raccontasse dell'emergenza sanitaria che ha rivoluzionato le nostre vite nel giro di un anno. C'è abbastanza letteratura, ci sono abbastanza post, video, immagini, articoli e quanto si voglia che raccontano di come le nostre vite siano state svuotate, stuprate, spogliate di tutti ciò che tutti noi davamo per scontato. I viaggi, le feste con gli amici, un weekend con i nostri parenti. Molti hanno perso dei cari. Molti, come me, non li vedono da tanto, troppo tempo, a causa delle limitazioni che ci sono - anche qui nostro malgrado - state imposte da governi che il più delle volte hanno fatto a gara a chi riusciva a gestire l'emergenza nel peggior modo di tutti. No, non potevo scrivere un libro che raccontasse un'altra, ennesima storia di come tutto sia cambiato in peggio.

Ho voluto scrivere invece un libro che celebrasse nuovamente lo spirito innato per l'esplorazione e della scoperta che ci contraddistingue nell'essere quello siamo. Il titolo del libro non è cambiato di molto quindi. I luoghi non sono cambiati. Piuttosto, il fatto che il numero minore di storie di questo libro rispetto al primo riguardano un gruppo di Paesi più limitato rispetto a quelli trattati in Bolle d'Asia, mi ha permesso di rendere questo seguito ancora più personale rispetto al primo libro. Ai temi generali del viaggiare e dello scoprire, che hanno caratterizzato Bolle d'Asia, sono state allora aggiunte persone che sono state, per me, fondamentali nella mia crescita e cambiamento in Asia. Il lettore attento ritroverà alcune di queste menzionate velocemente nel primo libro, mentre altre sono invece totalmente nuove.

Le storie raccontate qui, tuttavia, continuano a sembrare ad una moltitudine di bolle fatte di persone, eventi, conoscenze, emozioni, in cui mi sono imbattuto o ho preso parte vivendo in Asia. A volte veloci e istintive riflessioni su quanto visto e sentito, sono state scritte velocemente durante un viaggio. Altre volte sono episodi di vita vissuta raccontati dopo aver raccolto da diverse fonti le informazioni necessarie a dar loro un contesto. Ma tutte le storie, nascono, crescono, si scontrano, alcune finendo per unirsi diventando storie più lunghe e complicate. Altre, invece, spariscono velocemente, facendoci dimenticare presto della loro esistenza. Tutte le storie vivono di vita propria pur offrendo la possibilità, con le loro scene e i loro protagonisti, di essere riprese da una nuova storia da dove le si erano lasciate in quella precedente.

E sì, come avrete notato, c'è anche un epilogo, in quanto questa volta non mi aspetto davvero di vedere un altro libro dopo questo. Arrivando alla fine scoprirete il perché.

Vi prometto che a meno dell'introduzione, necessaria per ricucire dove avevo lasciato con Bolle d'Asia, nel libro non si parla di un mondo fatto di lockdown, di mascherine, di test o di vaccini. Si parla di un mondo fatto di emozioni caratterizzate dalla gioia della scoperta, dall'eccitazione della conoscenza del nuovo, dalla passione nell'arrivare in un nuovo posto o di conoscere persone per la prima volta, iniziandone ad esplorare i loro lati più nascosti.

È un mondo che non esiste più, direte voi, e forse avete ragione. Io voglio credere che questo che racconterò nelle bolle di questo libro, sia un mondo che ci è stato tolto temporaneamente ma che tuttavia, un giorno, non lontano, ritornerà ancora più prezioso di quando ci è stato strappato via.

Note dell’Autore

LA maggior parte delle fotografie usate in questo libro sono state scattate nuovamente dall’autore durante i suoi viaggi e permanenze nel continente asiatico. Tuttavia, dove i contenuti dei racconti richiedevano una maggiore intensità nella loro descrizione, esse sono state sostituite da quelle gentilmente offerte da fotografi professionisti, alcuni dei quali oltre ad aver condiviso direttamente con il sottoscritto alcuni dei racconti raccolti qui, vivono in Asia da anni. Qualora non possibile, tale contributo professionale è stato poi completato da fotografie scelte dall’autore utilizzando altre fonti.

Anche in questo caso, tutti i fatti e le storie raccontate in questo libro sono reali così come sono reali le persone che sono descritte e menzionate nelle storie. Il lettore ritroverà nomi già conosciuti insieme ad altri nuovi. Tutti continuano ad essere utilizzati cambiati o storpiati in funzione delle necessità, al fine di proteggerne l'identità delle persone menzionate nonché la loro privacy.

Tokyo, 20 Dicembre 2020

21 Dicembre 2020

Iniziamo da dove avevamo lasciato. Stavamo parlando di Cina...del mio addio, del rancore e della delusione provati a causa di un Paese dominato da un sistema politico disumano e ignobile che mi aveva portato quasi ad odiare la cultura millenaria cinese, motivazione principale della scelta consapevole di vivere lì. Ma andiamo oltre. Nel 2009 mi sono posto la domanda di cosa avrà da offrire la Cina quando sarà, come tutti ancora oggi prevedono, l'economia numero uno al mondo. La risposta continua ad apparire oggi non chiara come non appariva chiara undici anni fa. Ma a fare la differenza però adesso è la mia preoccupazion nell'ammettere che trovare una risposta a quella domanda possa fare molto più paura di quanto lo facesse nel 2009.

Stavamo parlando di Cina...

TOKYO. Sono passati più di otto anni da quel giorno di Maggio in cui, una volta chiuse le valigie e salutato gli amici dopo una moltitudine di cene e aperitivi, ho lasciato Pechino e la Cina per Kyoto e il Giappone. C'era con me tanta consapevolezza nell'essere arrivato alla conlusione di un ciclo della mia vita caratterizzato da un'altalena di emozioni e di eventi che mi avevano fatto amare ed odiare la Cina allo stesso tempo. Un sentimento comune per gli stranieri che hanno vissuto nel Paese dell'Impero di Mezzo per anni. Tuttavia, c'era con me anche la felicità nell'essere riuscito a separare la cultura cinese, con la sua storia millenaria, e i cinesi, con cui avevo a che fare tutti i giorni, dal sistema Cina moderno. Era per me questo un motivo di orgoglio, un segno di maturità, una prova dell'essere riuscito a capire un Paese di suo già molto complesso, e reso ancora più difficile da un sistema politico disuamano. Il fatto di essere finalmente arrivato al centro della questione Cina, mi faceva provare un gran senso di gratitudine per quel Paese in quanto mi aveva offerto la possibilità di fare un tale viaggio, a volte così introspettivo, tanto da avermi fatto crescere enormemente come persona.

Ma insieme a questa gratitudine c'era tanta, tantissima rabbia, delusione, preoccupazione. Rabbia perchè sapevo che la vera identità cinese non era quella che vedevo tutti i giorni per le strade di Pechino. La vera identità cinese l'avevo trovata altrove, a Taiwan, e avevo capito quanto la Cina sarebbe potuta essere grande non soltanto eonomicamente o politicamente ma anche e soprattutto culturalmente se non avesse distrutto o avesse continuato a limitare le sue tradizioni e a censurare la sua storia. Delusione, perchè vedevo un Paese di 1 miliardo e 400 milioni di persone andare letteralmente giù per la discesa del consumismo spiccio, mosso dal puro profitto personale, prima di qualsiasi altro interesse per il prossimo. Preoccupazione, perchè già dieci anni fa i piani della Cina per entrare a far parte dei leader militari globali erano ben chiari e solo il tempo avrebbe fatto capire il modo in cui tale visione sarebbe stata messa in pratica.

Soprattutto, ho lasciato la Cina molto stanco. Stanco dell'instancabile propaganda politica che esisteva ed esiste in ogni cosa in Cina, dalle notizie, al modo di comunicare, ai temi trattati, all'importanza data o meno a quanto accade nel mondo. La difficoltà, se non l'impossibilità dell'essere liberi nel decidere tali argomenti, alla lunga viene a mancare. Il vuoto diventa incolmabile. Il pensiero, probabilmente motivato automaticamente da una sincera preoccupazione, era ieri come oggi incentrato su quale impatto una tale propaganda avrebbe creato non solo su una vita di una persona qualunque come il sottoscritto, ma di popolazioni intere, e perchè no, considerate le ambizioni del Partito Comunista Cinese (PCC), del mondo intero. E allora la domanda che mi ero fatto tempo prima su quello che la Cina avrebbe potuto offire una volta diventata la prima economia mondiale, non poteva far altro che tornare, come un disco rotto, nella mia testa, in attesa di nuove riposte aggiornate ad oggi.

Nel pansare a come rispondere a tale domanda, devo ammettere che ho pensato di tutto. A volte ci ho pensato con più ottimismo, come quando ho guardato alle nuove tecnologie e pagamenti da dispositivi mobili che rendono la vita più semplice e effciente oggi in Cina. A volte ci ho pensato invece con un po' più di preoccupazione, come quando ho notato il numero di telecamere in giro per le città cinesi e considerato quello che gli avanzatissimi software di riconoscimento facciale possono fare. Pensavo veramente di aver considerato tutto quello che c'era da pensare.

Ma un virus letale? Un virus, no, a quello non ci avevo pensato.

Cosippure non ho considerato il modo in cui la Cina ha reagito allo scoppio della pandemia dello stesso virus. C'era da sperarsi, anzi da aspettarsi che, nell'interesse di evitare i ritardi creati durante la SARS nel 2003 a causa della mancanza di trasparenza di Pechino, questa volta sarebbe stato diverso. Si sarebbe collaborato con le agenzie internazionali, si sarebbero condivisi i dati e le informazioni velocemente, così da riuscire ad arginare il pericolo per tutti nella maniera più efficace ed efficiente possibile in un mondo che non ha più distanze o quantomeno è molto meno distante di quanto lo era nel 2003.

Invece no. Quello che tutti noi abbiamo visto da parte della Cina, o meglio, da parte del PCC è stato totalmente il contrario. Ma al di là del fatto di aver dato ragione a chi (incluso il sottoscritto) raccontava che la Cina moderna altro non fosse che una versione ritinteggiata con sapienza di quella di Mao degli anni '50, è stato il modo in cui tale immagine del Paese è venuta a galla insieme alle sue menzogne e segreti di Stato. È stata l'arroganza del PCC utilizzata nel rimandare al mittente tutte le domande spigolose a cui non voleva rispondere sull'origine del virus. È stata l'onnipotenza dimostrata dai funzionari del partito nell'offuscare le informazioni che avrebbero potuto condividere con l'OMS, minandone invece la credibilità di quest'ultimo alle sue basi. È stata l'omertà vista da tutte le persone coinvolte sulle ricerche che sono state fatte nel tempo sull'Istituto di Virologia di Wuhan. È stata la sfacciataggine vista nel creare ad-hoc le mezogne da disseminare nei canali d'informazione al fine di depistare qualsiasi tipo di investigazione sulla vera natura del virus.

È stato tutto questo e di più ad offrire un immagine di un Paese che non può soltanto più deludere, far arrabbiare o preoccupare. Questa è un'immagine di un Paese che fa seriamente paura. Fa paura perché presenta un mix di elementi come la bugia, la propaganda, il nazionalismo e, in generale, un forte xenofobismo per tutto ciò che è estraneo alla propria cultura, che l'umanità ha visto già molte, moltissime volte nella sua tormentata storia. Tutti noi sappiamo bene che quello che è venuto subito dopo non è stato nulla di buono.

Viene da chiedersi cos'altro abbia in serbo la Cina per tutti noi. Forse una guerra? Non mi sorprenderebbe troppo a questo punto. Ormai il PCC non fa più mistero della sua missione di riunificare Taiwan alla madrepatria, anche con la forza, se necessario. Ormai la marina militire e l'aviazione cinese continuano ad inviare ogni giorno aerei spie nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan e le sue portaerei continuano ad andare avanti e indietro sullo Stretto di Taiwan. Gli Stati Uniti ne seguono da vicino i movimenti, l'Australia dichiara che il comportamento della Cina che mira a destabilizzare gli equilibri della regione potrebbe portare ad un conflitto, l'India continua ad aggiungere navi militari alla sua flotta.

Potrei andare avanti a parlare di quello che succede nello Stretto di Taiwan a lungo ma il è che la Cina di oggi non è più un Paese che si può raccontare prendendo spunto da viaggi di piacere o eventi di vita quotidiana come si sarebbe potuto fare una volta. La Cina di oggi è un Paese che per essere raccontato non richiede più giornalisti, reporter, o scrittori da viaggio. È un Paese, la Cina moderna, che richiede investigatori, spie, militari. Questi sono infatti gli unici soggetti in grado di raccontare i fatti che caratterizzano la Cina di oggi, fatti, questi, che descrivono il Paese da cui il virus che ha cambiato la storia moderna dell'umanità è arrivato. Fatti che il PCC ha cercato di nascondere ma che comunque sono venuti con il tempo alla luce. Fatti come i seguenti:

• La carta d'identità del virus proviene dalle grotte di una miniera di rame abbandonata dello Yunnan. Tali grotte non sono accessibili alla stampa straniera, pena il linciaggio degli abitanti dei villaggi della zona e l'arresto dalla polizia locale;

• La miniera fu ripulita dal guano nel 2012 da sei operai locali. Tutti si ammalarono di polmonite atipica e tre di loro morirono;

• L'evento avvenne poco prima dell'inizio della catalogazione dei trecento coronavirus trovati nelle stesse grotte dello Yunnan e conservati nell'Istituto di Virologia di Wuhan, ufficialmente per studiarne la possibilità di un salto verso l'uomo. Tuttavia, essendo l'Istituto diretto dall'Accademia Cinese delle Scienze, alcuni laboratori sono sotto il suo controllo e hanno un collegamento diretto con l'Esercito Cinese (il PLA) o elementi correlati coinvolti nelle ricerche sulla guerra biologica tra l'establishment della difesa cinese, tanto che almeno cinque rappresentanti del PLA stavano compiendo ricerche su "agenti biologici che causano malattie in animali selvatici" nelle strutture dell'istituto;

• Già nel 2015, ricercatori militari cinesi avevano discusso in una pubblicazione la possibilità di utilizzare la SARS come arma per indebolire le difese nemiche. Dieci degli autori della ricerca erano specialisti affiliati con l'Air Force Medical University a Xi'an, un'istituzione considerata a rischio molto alto dal Dipartimento di Stato statunitense in quanto dal 2017 sotto il comando del PLA. L'editore di tale ricerca è un certo Xu Dezhong, top leader nella Commissione Militare e Ministero della Salute cinesi durante l'epidemia della SARS;

• La scoperta già nel 2013 di almeno nove virus di tipo SARS e quindi potenzialmente pronti a fare uno spillover, a passare quindi dagli animali all'uomo, includeva un virus con più del 93% in comune con il genoma di SARS-COV2. Gli altri otto coronavirus vengono presentati in pubblicazioni cinesi molto tempo prima dello scoppio dell'epidemia mischiati ad altri coronoavirus che hanno poco a che vedere con la SARS e, per di più, tra le note dei documenti. Le sequenze dei nove virus sono ufficialmente esaurite;

• I due database creati per raccogliere i dati sui coronavirus da parte dell'Istituto di Virologia di Wuhan sono scomparsi e non più raggiungibili, anche se si sa il primo conteneva più di centomila campioni con almeno 180 ceppi di virus, mentre il secondo aveva ventimila campioni accompagnati da informazioni molto dettagliate ed era gestito dalla Prof. Shi (la cosiddetta "Bat Woman"), la Direttrice dell'Istituto. Quest'ultimo è stato messo offline due mesi prima dello scoppio ufficiale dell'epidemia a Wuhan;

• Wuhan è una delle città più moderne al mondo e non certo dove le persone vivono a stretto contatto con i pipistrelli;

• È stato provato che gli ospedali di Wuhan che hanno ricevuto i primi pazienti colpiti dal virus erano quelli intorno alla linea 2 della metropolitana, che parte dall'Istituto di Virologia di Wuhan e che finisce al suo aeroporto, un perfetto canale di distribuzione per il virus per diffondersi oltre la città;

• Nel Novembre del 2019, prima quindi dell'inzio ufficiale della pandemia in Cina, alcuni ricercatori dell'Istituto di Virologia di Wuhan si sono ammalati in maniera così seria di una polmonita atipica che dovettero essere ricoverati in ospedale;

• Ad oggi manca ancora chiarezza su come il virus abbia fatto il salto all'uomo dal pipistrello senza animale intermedio come invece accadde con gli zibetti nella SARS nel 2003;

• Il virus non riesce ad infettare con successo i pipistrelli, cosa che contraddice la teoria secondo la quale il salto da animale a uomo sia avvenuto senza animale intermedio;

• L'uniformità della struttura genetica di SARS-COV2 non offre nessuna prova visibile di passaggio con animali intermedi, il che suggerisce che il virus è stato introdotto da una singola fonte;

• La proteina che rende possibile al virus di agganciarsi al recettore di una cellula umana per poi permettere al virus di iniettare il suo materiale genetico dopo un meccanismo di "taglio", ha una sequenza caratterizzata dalla furina, una sostanza presente in tutte le cellule dell'uomo. Non solo questa è un'anomalia per i beta-coronavirus come la SARS ma il modo in cui il "taglio" avviene è unico tra la stessa famiglia di virus. Tuttavia, esperimenti sull'aggiunta in laboratorio di una tale proteina sono stati effettuati con successo almeno 11 volte in passato, alcune delle quali eseguite dalla Prof. Shi, in un processo chiamato "guadagno funzionale";

• La comunità dei virologi, pur conoscendo i bassi ritorni quando misurati relativamente ai rischi legati alla ricerca sul "guadagno funzionale", tra il 2014 e il 2017 hanno fatto lobby contro una moratoria imposta per ricevere fondi statali statunitensi per tali ricerche;

• Dal 2014 al 2019 (durante il periodo di moratoria quindi), il Prof. Daszak, presidente della EcoHealth Alliance, ha ricevuto fondi per la ricerca dall'Istituto Nazionale di Malattie Infettive e Allergiche statunitense per effettuare ricerche di "guadagno funzionale" con coronavirus nell'Istituto di Virologia di Wuhan. Nell sua domanda di richiesta di fondi per le sue ricerche il Prof. Daszak descriveva come scopo l'adattamento dei coronavirus in-vitro e in-vivo a cellule umane.

• Allo scoppio della pandemia, il Prof. Daszak invece di dare alle autorità sanitarie tutte le informazioni in suo possesso su tali ricerche eseguite nell'Istituto di Virologia di Wuhan, ha invece lanciato una campagna di pubbliche relazioni per convincere l'opinione pubblica che il virus non poteva assolutamente essere stato causato da una fuga dall'Istituto di virologia di Wuhan, pur tuttavia non comprovata ad oggi da nessun fatto. Suo è infatti uno degli unici due articoli (l'altro fortemente criticato dalla comunità scientifica) a supporto dell'evoluzione naturale del virus;

• La più grande crisi di salute pubblica del secolo è partita da una città che ha almeno nove isituzioni con laboratori biologici con diversi gradi di sicurezza e che lavorano sui coronavirus;

• I virus riescono a fuoriuscire anche da edifici con il più alto grado di sicurezza. Basta pensare al vaiolo, scappato tre volte in UK negli anni '60e '70, e molti altri virus che fuoriescono da laboratori tutti gli anni. Più recentemente il virus della SARS è fuoriuscito da laboratori a Singapore, Taiwan e molte volte in quelli della Cina;

• Anche se definito di massima sicurezza (BL4), l'Istituto di Virologia di Wuhan era stato definito "non pronto" dagli ispettori del Dipartimento di Stato statunitense nel 2018. Mancavano tecnici con la dovuta preparazione e le regole per assegnare certi virus a certi livelli di sicurezza non erano rigide. Per esempio i coronavirus, a parte la MERS e la SARS, ancora oggi possono benissimo essere assegnati ad un livello BL2 (di due gradi meno restrittivo del BL4), con evidenti differenze nei parametri di sicurezza da mantenere. La maggior parte del lavoro svolto nell'Istituto di Virologia di Wuhan per le ricerche sui coronavirus erano condotte in grado di sicurezza BL2, come anche affermato dalla Prof. Shi;

• Se la teoria sull'origine animale del virus è corretta, il salto del virus tra animale e uomo non è potuto avvenire a Wuhan, visto che nessun animale nel mercato del pesce incriminato non è risultato positivo al virus. Le autorità cinesi sono andate anche oltre il mercato, testando in tutto 80.000 animali ma con nessun risultato;

• A differenza del virus della SARS, che è dovuto mutare almeno 18 volte prima di causare un'epidemia, il nuovo virus è stato in grado di adattarsi all'uomo già da subito quanto bastava per causare un'epidemia;

• I membri della commissione d'inchiesta dell'OMS sono stati decisi dalla Cina e la Cina ha investigato sul suo stesso operato condividendo solo in un secondo tempo i risultati con la commissione d'inchiesta dell'OMS;

• La commissione dell'OMS era formata anche da virologi che finanziavano in modo sostanzioso la ricerca sui coronavirus dei pipistrelli a Wuhan, come il Prof. Daszak, favorendo quindi enormi conflitti di interesse all'interno della commissione;

• Qualsiasi investigazione su quanto successo a Wuhan compiuta dalla commissione di scienziati dell'OMS ha dovuto avere sempre a che fare con la politica cinese rappresentata da cinquanta, e volte più, persone, la maggior parte delle quali non scienziati e sicuramente non facenti parte del settore della salute pubblica;

• L'OMS ha un conflitto di interessi con la Cina che l'ha reso completamente inadatto nel gestire la pendamia;

• Esiste ad oggi un ordine espresso di Pechino a non far trapelare nessun tipo di informazione a riguardo del virus, centralizzando tutta la pubblicazione riguardante SARS-COV2. Il tutto, secondo documenti ufficiali, deve essere gestito "come una partita di scacchi" e sotto la diretta supervisione del Presidente Xi Jinping stesso;

• Dopo più di un anno dallo scoppio di una pandemia che ha causato tre milioni di morti in tutto il mondo, tra i quali molti amici e conoscenti, la Cina, che in teoria avrebbe tutto l'interesse a fornire elementi che la scagionerebbe completamente come colpevole della pandemia, non ha ancora condiviso i dati originali ma solo quelli rielaborati sui primi casi a Wuhan;

Mi fermo qui in quanto, come dicevo, la Cina di oggi è un Paese che richiede esperti di spionaggio e investigazione per essere raccontato. Non certo il sottoscritto e certamente non nel contesto di un libro che tratta l'amore e la passione per l'Asia. La Cina di oggi la lascio raccontare ad altri e i capitoli che trattano di Cina qui, lo fanno in un contesto molto lontano da quello attuale in cui le risposte scomode sono davanti ai nostri occhi ma solo per venir distrutte da politici amici della propaganda cinese.

Ricordo come già negli ultimi mesi della mia vita cinese continuavo a ripetere a me stesso che la Cina non era l'Asia che stavo cercando. Sapevo che la mia Asia, per così dire, si trovasse altrove. La fortuna e quell'elemento di tempismo che sembra avermi sempre accompagnato fin dal momento del mio arrivo in Asia ha finito per farmela trovare qui in Giappone, chiudendo per così dire un cerchio iniziato anni prima con il mio primo viaggio in Asia per finire la mia tesi di laurea. Un viaggio che, chissà, era iniziato molti anni prima mentre ero esposto a certi aspetti della cultura giapponese e nel tentare di studiarne la lingua. Non saprei come ritenermi più fortunato oggi ad essere qui dove sono. Fortunato nell'aver assecondato la mia malattia di "malato d'Asia". Fortunato nell'aver avuto ragione di essermi lasciato guidare da questa, benefica e stimolante malattia, anche e soprattutto nei momenti in cui la direzione da seguire non era chiara. E fortuanto nell'aver potuto vivere le esperienze che hanno riempito le mi bolle d'Asia fino ad oggi, e che ancora una volta cercherò di raccontarvi nelle storie che seguono.

12 Novembre 2015

Paul Theroux ha detto che ritornare in un posto dopo molto tempo, lo fa sembrare sempre diverso. Anche se a prima vista familiare, il posto non ci appartiene più e, anche se molti ricordi lo possono far sembrare nostro, questa è soltanto un'illusione creata dalla nostra nostalgia. Ma il mio ritorno a Pechino va oltre all'illusione descritta dal novellista americano. Il rivedere la città che mi ha accolto anni fa finisce per trascinarmi tra i suoi vizi ed eccessi più nascosti.

Ritorno al Jing

PECHINO. A volte è difficile dire completamente addio a posti in cui si è vissuto intensamente per parecchio tempo, ne si è conosciuta la sua storia, ne si ha visto i suoi cambiamenti, magari cambiando con essi. Pechino è per me uno di questi posti. Al pensiero del mio viaggio d’affari a Singapore non ho saputo resistere e ho dovuto fare una veloce deviazione per rivedere Pechino come una persona farebbe con un lontano parente in una visita di cortesia.

Dopo quattro anni, Pechino, o "Jing" colloquialmente, è come me la ricordo. Irrimediabilmente sporca, terribilmente disordinata e con il suo puzzo inconfondibile di carbone nella sua aria durante questo periodo dell'anno. Tutto è uguale all’aeroporto, dal sorriso falso dell’agente dell’immigrazione che accetta la mia domanda di visto per 72 ore (di più infatti non mi serve); alle scritte di benvenuto in inglese stampate con decine di errori di traduzione come se non importasse a nessuno di fare bella figura o meno di fronte al resto del mondo; alla polvere ormai spessa e nera che copre la struttura imponente in acciaio dell’aeroporto, probabilmente mai pulita dal 2008, anno della sua inaugurazione. Mi sembra tutto così uguale a come me lo ricordo, tanto che mi trovo sorprendentemente ancora capace di saper saltare lunghissime code calcolando i tempi di arrivo del trenino dell’aeroporto e la posizione giusta per aspettarlo.

Anche il freddo, secco, pungente, penetra all’interno del mio corpo intorpidendolo allo stesso modo di quando mi accompagnava tra le mie passeggiate nella capitale cinese anni fa. Mi sembra ad un tratto di non essere mai partito da qui, di essere ancora un Beijinger, un expat pechinese, felice di tornare a casa, orgoglioso della sua vita nella bolla creata apposta dal Partito Comunista Cinese per tenere a bada gli stranieri, sistemarli all’interno di un ambiente indigeno in una maniera controllata, pur motivandoli a rimanere al loro posto nella rivisitazione moderna della millenaria organizzazione sociale confuciana.

Ma tra me e Pechino ci sono adesso quattro anni di Giappone. Questo tempo si fa sentire subito quando mi ritrovo con uno sguardo da ebete a guardare fuori dal finestrino dell’Airport Express i modernissimi edifici nel vecchio quartiere dove vivevo e lavoravo, costruiti con un’architettura così eccentrica che nella Kyoto in cui vivo oggi, sempre in bilico tra modernità e tradizione, apparirebbero totalmente fuori luogo. Oppure quando cerco di inserire la tessera magnetica per uscire dalla metropolitana come se mi trovassi in quella di Kyoto, e la bella assistente messa lì tutto il giorno apposta per aiutare persone confuse come me, mi fa segno con un sorriso di passare invece la tessera sopra il disco magnetico.

Nuovi edifici vicino al fiume Liangma, Pechino

I quattro anni di Giappone si fanno sentire anche in altro. Non posso che reagire quasi automaticamente triste e scoraggiato alla fila di bancherelle proprio fuori al mio hotel dove del cibo a buon mercato viene cotto alla bene e meglio in piastre luride per poi esserre raccolto in bustine di plastica trasparenti che fanno ben vedere tutto l’unto e la confusione di ingredienti. I passanti comprano questo snack appena finita la loro lunga giornata lavorativa e subito prima di gettarsi in una delle 19 linee di metropolitane (10 in più di quando ho lasciato la città) per un viaggio anche di ore per tornare a casa dall’altra parte di una città che ormai ha raggiunto dimensioni da capogiro e che tuttavia non pensa per niente di fermrsi. E poi il trambusto del traffico del vicino terzo anello che sembra dover esplodere da un momento all’altro se guardato dall’alto, con le sue fila di macchine e bus che appaiono immobili, imbottigliati come sono nel traffico dell'ora di punta. Con le loro luci, sono tutti parcheggiati lì sull'enorme stradone come fossero un’installazione artistica.

Il mio punto di vista ormai abituato ad un Paese sviluppato civilmente e a volte ordinato fino all'ossessione stride poi nettamente nel modo in cui noto le maniere pragmatiche e poco cortesi dello staff del mio albergo nel rivolgermi la parola. Ma non mi innervosisco come avrei potuto fare un tempo. Sorrido spiegandomi invece la mancanza di cortesia con la poca padronanza dell’inglese da parte dei miei interlocutori.

D'altronde non trovo naturale usare il poco mandarino che mi ricordo. Nel provare a cercare le parole giuste per creare una frase mi accorgo che queste non sono lì dove le avrei trovate velcemente un tempo. È come se una di quelle scope messe insieme alla bene e meglio dagli spazzini locali con i fuscelli degli alberi ne avesse quasi completamente cancellato la presenza dalla mia testa, lasciando adesso spazio ad un giapponese sempre più fluente. Riesco a malapena a chiedere come fare per accedere al wi-fi o di trovarmi un taxi.

Come un viziato turista occidentale ho infatti bisogno che qualcuno si prenda cura di me dopo il viaggio di oggi e il mio pensiero va allora al centro benessere dove ero socio un tempo. Lo trovo dove l’avevo lasciato, vicino ad un grattacielo di cui avevo visto costruirne solamente le fondazioni alcuni anni fa. Ritrovo anche le stesse assistenti e alcune delle massaggiatrici che lavoravano al centro allora. Quando mi vedono entrare una di queste mi riconosce. "Oh! Quanto tempo! Sei tornato a Pechino?", mi dice con un gran sorriso. "Ti ricordi ancora di me?", mi chiede, quasi civettando. "Certo Amy. Mi ricordo ancora", rispondo io con un sorriso. "Mi ricordo ancora tutto di Pechino...come se vivessi ancora qui" continuo. "Ed è piacevole sapere che una parte di Pechino non si sia dimenticata di me. Come se non fossi mai andato via". Lei mi sorride di rimando.

Mi addormento inevitabilmente durante il massaggio, completamente rilassato dalle cure della massaggiatrice a cui sono stato affidato e dalla muscia, sempre uguale del posto. Riapro gli occhi dopo un'ora, quando lei mi avverte che il massaggio è terminato e che il mio the verde è sul tavolino vicino al lettino. Mi alzo rinnovato dal pisolino e giusto in tempo per il mio prossimo appuntamento. Una vecchia amica di Singapore che vive in bilico tra Pechino e Shanghai, sapendo che ero in città, mi ha invitato a bere qualcosa allo Xiu a Guomao, uno dei locali che apparentemente continua a rimanere alla moda dai tempi in cui vivevo qui. Mi rivesto ed esco dal centro benessere. Fuori si è fatto buio ma il traffico sembra scemare per le strade. Salto su un taxi e prendo il terzo anello verso Sud. Ci metto venti minuti per fare poco più di un chilometro tanto che alla fine decido di camminare.

Noto una certa familiarità con questo ritmo velocissimo nel fare le cose. È tipico della vita nella Cina moderna ed è quello che ha sempre battuto i tempi per me quando vivevo in zona. Non c'è neanche il tempo di finire quello che si sta facendo che già c'è da pensare a ciò che viene dopo, e poi dopo. Si è sempre inevitabilmente occupati a fare qualcosa qui. Neanche New York City ha queste velocità.

Trovo Simone appollaiata su uno degli sgabelli di metallo dello Xiu a parlare con almeno due occidentali, ma appena mi vede arrivare si gira di scatto di spalle ai due uomini che mi fissano seri, sicuramente non contenti di aver interrotto i loro tentativi di abbordare la mia amica. "Amici tuoi?" le chiedo. Lei sorride. Anche se non la vedo da cinque anni, credo, Simone rimane sempre attraente. Secca di fisico e slanciata sulle sue gambe snelle, il suo viso allungato e dai lineamenti dolci tipico delle cinesi originarie del Dong Bei, sa come catturare le attenzioni degli uomini che le passano accanto. Forse è questo il motivo per cui fu scelta come annunciatrice TV per un'emittente di Singapore all'inizio della sua carriera. La cosa non ebbe seguito però, visto che lei si stufò dell'ambiente (e delle avances di alcuni direttori) tanto da prendere altre direzioni. È arrivata in Cina anni fa per ritrovare le sue radici e ha messo in piedi una sua non troppo chiara società di servizi finanziari per ricchi locali nascondendo i suoi servizi come prodotti facenti parte del Welth Management. Ma in realtà non fa altro che aiutare i ricchi cinesi a far uscire i loro capitali dalla Cina per evitare tasse o per metterli al sicuro dal PCC in quelche conto offshore o progetto immobiliare all'estero.

"Alexander" così mi chiama lei perché a quanto pare non ha mai imparato a pronunciare il mio nome "non mi ricordavo di quanto sexy fossi. Il Giappone ti tiene in forma vedo." I due uomini seduti vicino a lei mi guardano adesso in cagnesco. Ma Simone è così. Diretta, pungente, ma anche terribilmente sincera nel dirti quello che pensa. "Andiamo a sederci là in fondo. Questi due mi hanno annoiato" continua prendendomi sotto braccio e senza curarsi troppo del fatto che i due uomini l'avessero chiaramente sentita.

Io sono dovertito dalla scenetta, ma non stupito. Simone ama stare al centro delle attenzioni, soprattutto di quelle maschili. La prima volta che la conobbi, proprio qui allo Xiu, presentata da un amico in comune, mi chiese di farla ballare come non avessi mai fatto ballare nessuna delle ragazze con cui ero stato insieme fino ad allora. Mi ricordo allora che la presi e iniziai a farla roteare in mezzo alla pista, tra passi misti a quello che mi ricordavo di Sabati passati ad accompagnare amici a feste latino-americane e le lezioni di tango che avevo seguito diligentemente proprio qui a Pechino per un paio d'anni. Lei era rimasta colpita da quei passi che, seppur obiettivamente superiori alla media, non avrebbero potuto far altro che scatenare le risate di un ballerino professionista. Ma lei si era lasciata totalmente andare sotto la mia guida, tanto che ad un certo punto mi ricordo di averla avuta tra le mie braccia a pochi centimetri da terra in una posizione che aveva richiesto tutta la mia forza per evitare di cadere rovinosamente insieme a lei ma che, allo stesso tempo, aveva richiamato gli sguardi sorpresi e forse anche un po' invidiosi di un gruppetto di americani di passaggio da cui sentivo provenire espressioni come "What the f*** man, look at that."

Ci eravamo frequentati per un po' io e Simone. Ad un certo punto lei veniva a trovarmi a casa mia tutte le volte che era a Pechino, tanto che a volte non passava neanche da casa sua, ma veniva diretta da me dall'aeroporto. D'altronde essendo a Lidu, il mio appartamento era semplicissimo da raggiungere. Io le preparavo un bagno caldo e una cena romantica che immancabilmente non riuscivamo mai a finire, attratti fisicamente come eravamo l'uno all'altra. Non so quante torte al cioccolato o pesche al vino mi sono dovuto mangiare da solo quando lei spariva il giorno dopo. Perché lei era così. Arrivava e spariva. Poi riappariva di nuovo. Di solito mi mandava un messaggio mentre si stava imbarcando sull'aereo. "Sto arrivando a Pechino. Ci vediamo?" ma quando ero io a chiederle cosa stesse facendo o dove fosse finita, il più delle volte non ricevevo risposta. "OK" mi ero detto "niente di più facile". La relazione con Simone era probabilmente l'esempio del rapporto che tutti gli uomini single vorrebbero. Una bellissima donna, sempre interessata a te, disponibile quando è con te, ma che non si aspetta o vuole altro subito dopo.

Forse è per la mancanza di continuità di cui era sempre stata caratterizzata la nostra relazione - se di relazione effettivamente si potesse parlare - che questa sera entrambi ci sentiamo come se niente sia cambiato tra noi. Certo, gli anni sono passati. E li si vedono nelle piccole rughe che adesso scorgo tra la sua pelle comunque sempre liscissima quando sorride o nel mio addome non così scolpito quanto avrei voluto un tempo. Ma l'intesa tra noi due sembra non averne risentito. Anzi. Non so se Simone sia particolarmente eccitata questa sera, ma mentre parla raccontandomi di quanto il suo business stia andando bene e di quanto la sua famiglia ne stia beneficiando in fatto di riconoscimento, continua a toccarmi la gamba o passarmi la sua mano sul collo. Ordiniamo Champagne per festeggiare il nostro incontro dopo anni e non facciamo durare la prima bottiglia più di una mezz'ora. Ne ordiniamo subito un'altra e, prima che riesca a rendermene conto, inizio ad essere brillo, forse complice la lunga giornata. Immagino sia lo stesso per lei visto che quando si alza mettendosi a posto gli attillatissimi pantaloni di pelle bianchi fa fatica a trovare l'equilibrio sulle sue scarpe dal tacco finissimo ridendo nervosamente.

Quando ritorna dal bagno sembra un'altra persona però. Passo sicuro, seria. Mi guarda senza sedersi e mi dice, quasi ordinandomi, di seguirla. "C'è troppo baccano qui, andiamo da un'altra parte". Pago e la seguo sull'ascensore, su verso il bar del Park Hyatt. Non riesco ad evitare di guardare Simone senza rimanerne catturato. E lei se ne accorge. Il suo corpo è a dir poco mozzafiato, messo in risalto non solo dai suoi pantaloni, ma anche da una camicia di seta bordeaux che, lasciata volutamente aperta qualche bottone in più del voluto, lascia intravvedere un reggiseno di pizzo nero da cui il seno prorompente fa fatica ad essere contenuto.

"Sei bellissima" le dico tra la musica lounge dell'ascensore. Lei mi guarda ridendo. Sento il ticchettio delle sue scarpe farsi vicino e in un attimo mi sento prendere di nuovo il collo, questa volta tirato verso di lei per stringermi in un bacio passionale. Le porte dell'ascensore si aprono davanti al China Bar mentre siamo ancora avvinghiati l'uno all'altra. Sentiamo le note di musica jazz che scopriamo, entrando, sono suonate dal vivo da un gruppo locale. Una cameriera ci fa accomodare ad un tavolo, proprio vicino al gruppo che ora ha intonato "Fly me to the Moon".

"Allora come sono le giapponesi?" mi chiede all'improvviso Simone leggendo con attenzione la lista dei whisky. Io la guardo sorpreso. "Le giapponesi? E che ne so? Lo sai che vivo in Giappone perché mi piace la cultura no?" le sorrido io. Lei mi guarda storto. "Davvero, con sincerità. Dimmelo. Sono curiosa. Meglio delle cinesi? Meglio di me?" Simone è seria, così seria che quasi mi intimorisce. Perché questa paranoia improvvisa? Decido che la diplomazia non funzionerebbe e butto lì una risposta. "Se proprio lo vuoi sapere tu sei sempre al top per quanto mi riguarda." Lei continua a guardarmi seria. Poi scoppia in una risata. "Che sciocco che sei. Te l'ho fatta eh? Credevi veramente che fosse una domanda seria?" dice alzando la mano per chiamare una cameriera. "Beh, nel tempo ho imparato che è sempre meglio prendere una bella donna sul serio, piuttosto che non dae l'attenzione che lei si aspetta" le rispondo io rilassandomi sulla poltroncina. "Bravo. Vedo che sai le regole base per far piacere a una donna" mi dice con un sorriso d'intesa.

"Portami un Glenmorangie 18 anni" ordina alla cameriera pronta a prendere l'ordine. "L'abbiamo finito, chiedo scusa" risponde pronta lei. "Allora un Glenlivet 18 anni" propone Simone. "Chiedo scusa, abbiamo solo il 12 anni" dice, adesso imbarazzata, la cameriera. "Ma insomma! Cos'è che avete?" domanda spazientita Simone. Mi stupisce vederla agitarsi per così poco. Simone può essere tutto ma non nervosa com'è ora così cerco di tranquillizzarla. "Ti consiglio uno Shibui o uno Yamazaki" intervengo. "Fai tu allora. Mi fido di te" risponde Simone cercando di accendersi una sigaretta. "Due Yamazaki 12 anni allora" dico alla cameriera. "Arrivano subito...oh, chiedo scusa miss. Non si può fumare qui" risponde la poveretta. Simone la guarda con disprezzo rimettendo sigaretta e accendino nella sua borsetta di Dior. "Tutto OK?" le chiedo. "Sì, sì...sono solo un po' nervosa...scusami. Forse ho esagerato poco fa...". "Con la cameriera intendi?" le chiedo io confuso. "No, no con lei. Non ci pensare" mi risponde evasiva.

I nostri whisky arrivano subito, portati questa volta da una cameriera deversa da quella di prima. "Vedi, l'hai spaventata" scherzo io. "Mi spiace. Ma quando arrivo da Shanghai ci metto sempre un attimo prima di abituarmi al servizio pessimo di Pechino" cerca di giustificarsi lei. "E allora cosa dovrei dire io che arrivo dal Giappone?" scherzo battendo il mio bicchiere contro il suo. "Salute. A noi due. Dopo quattro anni. Sempre al top." "Sempre al top" risponde lei. Mi guarda intensamente dopo aver bevuto un lungo sorso del suo Yamazaki. "Mmhh...Avevi ragione. È il whisky che fa per me. Senti un po'..." dice con l'intenzione di intavolare un nuovo discorso. "Perché ti sei spostato in Giappone? Perché non Hong Kong? O Singapore? Tutti gli occidentali se ne vanno lì dopo un po' di anni qui. Ma tu invece...Giappone?". Sembra sinceramente interessata alla mia risposta. "Beh...è capitato. Seguivo progetti in Giappone, mi hanno chiesto di restare e la cosa ha funzionato." Bevo anch'io un lungo sorso del mio whisky. "Poi lo sai come sono io, no? Ogni volta che vado in un posto mi immagino sempre come possa essere viverci e se io potrei viverci. Ho già vissuto a Hong Kong, e non mi è piaciuta. E comunque Hong Kong è Cina, e lo sarà sempre di più molto presto, quindi tanto vale andare a Shanghai. Singapore? Con tutto il rispetto per le tue origini, no, grazie. Se avessi una famiglia forse. Ci sono stato parecchie volte poi e ti posso dire che dopo un paio di giorni non so già più cosa fare se non pensare di prendere un aereo ed andare da qualche parte in Indonesia. Che senso ha quindi? D'altronde questo lo sai meglio di me visto che anche tu hai deciso di andartene da lì." Simone fa cenno con la testa sorridendo. "Davvero" continuo "il Giappone è capitato come fosse stato già scritto da qualcosa o qualcuno nel destino di Alessandro Del Grand." "Chi?" mi chiede lei confusa. "Io. Alessandro" le dico. "Ma il tuo nome non è Alexander?" mi chiede sorpresa. "Come vuoi tu Simone" rispondo io ridendo. Lei ride di rimando.

Finiamo il whisky dopo aver ascoltato il gruppo jazz chiudere la serata con "In a sentimental mood" di John Coltrane, un pezzo ideale alla situazione. Simone sembra adesso molto più rilassata di quando siamo arrivati, tanto da abbandonarsi sulla mia spalla al suono delle note del pianoforte. "Andiamo a casa" mi dice con una voce gentile e dolce mentre mi accarezza il braccio. Chiede il conto dando gentilmente la sua American Express alla cameriera che aveva maltrattato poco fa. Le due confabulano sul pagamento e ricevuta. Io ne approfitto per buttare uno sguardo fuori dalla parete vetrata del sessantacinquesimo piano dell'edificio. Vedo le luci delle macchine lungo la Jianguomen verso Est. In fondo a destra gli edifici di Jianguomen SOHO, a sinistra le torri del Hua Mao Zhong Xin. Penso che solamente pochi anni fa lavoravo in una di quelle torri.

A vedermi adesso, è come se niente sia cambiato da allora. Un locale ricercato, un whisky sul tavolo, una bellissima donna di fianco, una grandissima città piena di opportunità da prendere al volo lì fuori. Ma la città, oggi non è più mia. E le opportunità ho deciso di lasciarle agli altri. Pechino non mi manca per nulla, consapevole come sono adesso di come la vita mi abbia finalmente portato nel posto in cui volevo essere in Asia fin da quando ho iniziato a viaggiarci più di quindici anni fa. Sorrido al pensiero di essere qui a vedere Pechino dall'alto tanto quanto basta per riuscire a non immischiarmi nei suoi affari e nella vita delle persone del posto come invece mi era richiesto di fare quando vivevo qui. Questo senso di non appartenenza mi fa sentire estraneo quanto basta per comunque sentirmi locale abbastanza da non considerarmi un generico visitatore del posto. E c'è un senso di incredibile libertà in tutto ciò.

"Perché sorridi?" mi chiede Simone curiosa. "Niente. Pensavo alla fortuna che abbiamo di essere qui a Pechino ma allo stesso tempo di non appartenere né tu né io a Pechino. Come se l'intera città fosse il nostro hotel" considero mentre aiuto Simone a indossare il suo giubbotto-pelliccia. "Come sei poetico tu. Ti dico una cosa allora. Se la città è l'hotel, perché non andare a vedere cos'ha da offrire in fatto di camere da letto?" mi dice sorridendo. Non faccio fatica a carpire il messaggio delle sue parole e presto siamo avvinghiati nel sedile posteriore di una Mercedes chiamata con Didi, la Uber locale. Simone ordina all'autista - visibilmente imbarazzato per il nostro comportamento - di fermarsi in una via secondaria subito dopo la Chaoyang Bei Lu, facendomi perdere totalmente l'orientamento di dove siamo. "Scendiamo qui" mi ordina nuovamente Simone scendendo dalla macchina. La calma della piccola via caratterizzata dai tipici piccoli vecchi condomini di qualche piano di stampo comunista sui suoi lati mi fa sentire il freddo ancora più di quello che è. Per di più una coltre di nebbia sta salendo da non so dove e tutto appare offuscato intorno a me.

"Dove siamo?" chiedo a Simone. "Non lontano da casa mia" mi rassicura lei. "Wow. Non sono più abituato a questo freddo e alle nebbie improvvise di Pechino. Kyoto è fredda sì, ma non così" considero. Guardo il cielo sopra di noi ed è di un viola funereo a causa delle luci mischiate alle nuvole probabilmente cariche del pulviscolo micidiale risultato del mix di inquinamento e sabbia in arrivo probabilmente dal deserto del Gobi. Il tutto, insieme al silenzio della via, mi appare improvvismante surreale. "Probabilmente è l'alcool" penso. "Vuoi fumare?" mi chiede Simone accendendosi la sigaretta che aveva messo in borsa velocemente poco fa al Park Hyatt. Rifiuto. "Allora penso che tu debba provare quest'altra di sigaretta" insiste Simone. La guardo sorridendo capendo il perché Simone abbia scelto questa via per scendere invece che continuare fino a casa sua su una strada principale. "Marijuana?" chiedo. "Di primissima qualità. Ti ricordi Anita?" Anita è la sua amica taiwanese, piccola di statura ma energetica come pochi, tanto da sembrare a volte un po' pazza. Dico un po' pazza perché mi ricordo ancora di come quando ho conosciuto Simone abbia passato la serata a strusciarsi su di me nella pista da ballo dello Xiu mentre ballavo con Simone, non tanto perché le piacessi, ma quanto per fare scena davanti a tutti gli uomini che, vedendola muoversi così, non potevano far altro che guardare arrapata lei e male me. "Certo che me la ricordo. È ancora qua a Pechino?" le chiedo. "Sì ma ha smesso di fare la hooker. Vive con un ragazzo adesso. Un americano fuso che fa il dj o il musicista o che so io" mi spiega. "No aspetta. Anita, hooker?" la interrompo io. "Sì, certo, non lo sapevi? E guadagnava anche tanto ad un certo punto." Accendo la mia canna e aspiro una boccata di fumo scuotendo la testa. All'improvviso mi accorgo che nonostante abbia vissuto quattro anni qui, non ho capito nulla degli eccessi che anche Pechino, come tuttle le megalopoli del mondo, nasconde. Sapevo dove trovare i karaoke sul terzo anello dopo Shuangjing, dove le ragazze offrivano attenzioni particolari ai clienti; conoscevo il bar vicino a dove vivevo che aveva, stranamente, al suo interno un numero spropositato di cameriere; ed ero stato parecchie volte in bar come il Maggies o il Pig and Thistle, dove la maggior parte delle donne erano mogonle e facevano le hookers di professione. Ma Anita? Hooker? Eravamo usciti in compagnia parecchie volte e non mi ero accorto mai di niente. "Comunque sia" continua Simone "Il suo ragazzo ha sempre roba di primissima qualità. Non quella roba che cercano di venderti i nigeriani con un "how are you boss?" al Sanlitun Village, mi capisci?" mi dice accendendosi la sua canna già pronta. "Allora com'è?" mi chiede. "Non sono un esperto, ma se ben mi ricordo questo genere di cose dai tempi universitari, questa roba è davvero buona." Così buona che presto sia io che lei siamo totalmente sballati. Lo si vede da come ridiamo solamente guardandoci in faccia.

Iniziamo ad abbracciarci e baciarci sul marciapiede dove ci troviamo tra le zaffate di marijuana che ci avvolgono entrambi. "Credo sia meglio muoverci da qui" propongo a Simone. "Sì, non mi va di essere scambiata per una delle tante China girls di qui" si preoccupa lei. "Mi riferivo all'odore di marijuana sciocca. Questa roba sballa tutto il vicinato con il suo odore." Simone ride e mi prende per mano mostrandomi la strada verso casa. "Dove mi porti?" chiedo io scherzando. "Ah?" risponde lei. "Dove...?" ripeto io senza riuscire a ripetere la domanda completa. "Cosa?" fa lei. Ridiamo entrambi perché è chiaro che il misto di alcool e fumo ha tolto ad entrambi la capacità di essere lucidi oltre a non riuscire più a stare in equilibrio o di coordinare i movimenti necessari per camminare diritti. Ci sorreggiamo a vicenda stando abbracciati stretti fino all'entrata dell'ascensore del suo edificio. Arrivati alla sua porta Simone si appoggia al muro dandomi le chiavi. "Apri tu" mi dice. Faccio fatica a metter la chiave nella toppa ma in qualche modo riesco ad aprire la porta e a trovare velocemente l'interruttore della luce. Simone si toglie le sue scarpe - perdendo una decina di centimetri in altezza allo stesso tempo. Inciampa nello stipite della porta e cade letteralmente tra le mie braccia. Con un calcio chiude la porta e torna a baciarmi. Io inizio a spogliarla fino quando lei all'improvviso mi ferma. "Aspetta" mi dice. "Ho qualcosa per te" continua. "Cos'altro?" chiedo io sorpreso. Raccoglie il suo giubbotto da terra e inizia a cercare qualcosa in una delle tasche interne. Dopo aver aperto tasca e contro tasca tira fuori quello che sembra un sacchetto di plastica con una polverina bianca al suo interno. Sono troppo sballato per stupirmi di quello che capisco subito cosa sia senza alcun dubbio. "Coca?" le chiedo. "Sì. Anche questa di ottima qualità. Tagliata benissimo e offerta sempre dal ragazzo di Anita."

Non so cosa dire. Al di là dello stupore di vedere improvvisamente girare droghe a Pechino così liberamente, capisco adesso il cambio d'umore allo Xiu subito dopo che Simone era andata in bagno. Ma che dire. C'è stato un periodo durante i primi anni di lavoro a Milano in cui uscivo con alcuni vecchi conoscenti che avevano cocaina nelle loro tasche tutte le volte, e voglio dire tutte le volte, che uscivamo. La cosa non è durata tanto per me perché quando tutti sniffano e tu no, c'è poco da condividere nel divertimento che ne consegue. Anzi, adesso che ci penso, quello era stato uno dei momenti più negativi della mia vita in quanto se ero finito a fare un lavoro che non mi soddisfaceva ed uscivo con dei cocainomani, forse avevo fatto proprio qualche errore enorme nelle decisioni che mi avevano portato lì. Non voglio certo cambiare direzione sull'argomento questa notte, in particolare dopo tutto quello che ho bevuto e la canna appena fumata. Ma Simone insiste. "Solo un po' dai." La guardo. Penso. Cosa dovrebbe dire un uomo di fronte ad una bellissima ragazza mezza nuda che chiede, anzi implora, di fare sesso con lei sotto l'influenza di droga?

Ma resisto. "Dammi un altra canna. La coca mi manda troppo su di giri" le dico con la sicurezza di uno che sembra abbia pippato tutta la vita. La cosa sembra funzionare. "Se tu non sniffi, lo faccio io per te" risponde lei di rimando gettando sul letto verso di me il pacchetto di sigarette dove nasconde la sua marijuana. "Ma vai sul balcone" mi ordina. Così faccio. Apro la porta a vetri del suo appartamento al decimo piano chiudendola dietro di me e mi accendo un'altra canna guardando Simone prepararsi la striscia di coca sul suo comodino e finirla velocemente. Il freddo penetra di nuovo le mie ossa, ma mi sembra di non sentirlo più. La mariujuana spira libera nella mia gola rilassando velocemente tutti i muscoli del mio corpo. Ma i miei pensieri sono tutti per Simone. Quante volte avrà fatto quel gesto che le ho appena visto fare? Da quanto tempo fa uso di coca? La usava già quando ci siamo conosciuti anni fa? Non ho tempo per pensare troppo a tutto questo. Simone, il suo sguardo fisso su di me, si avvicina alla porta a vetri togliendosi gli ultimi vestiti che ha indosso facendomi segno di raggiungerla dentro. La vista del suo corpo nudo mischiata alla seconda canna che fumo velocemente - forse troppo velocemente - mi stordisce completamente.

Quello che segue è ancora adesso che ci penso totalmente confuso. Ho solamente alcuni flash dei nostri corpi che si abbracciano su un letto enorme, e alcuni ricordi di Simone in bagno nel mezzo della notte, o almeno quella che mi è sembrata essere notte, e poi alcuni rumori di tazze che sbattono e una porta che si chiude più tardi. Niente di più.

La mattina mi sveglio con un mal di testa formato famiglia nel letto enorme che subito mi accorgo essere vuoto. Non riesco a capire subito dove mi trovi e ci metto un attimo per ricordarmi che sono a casa di Simone. La chiamo, ma nessuno risponde. Le mie orecchie fischiano per non so quale motivo. Sento il rumore di qualche macchina che passa sulla piccola strada vicina rimbombare nell'appartamento dandomi l'impressione che sia effettivamente totalmente vuoto. "Dove diavolo se n'è andata adesso?" mi chiedo cercando di far funzionare il mio cervello ancora narcotizzato dai fumi dell'alcool, delle droghe leggere e del sesso di qualche ora prima. Mi alzo con la testa che mi gira e raggiungo il bagno per farmi una doccia. Rimango sotto l'acqua per una buona mezz'ora cercando di disintossicare il più possibile il mio corpo. Le mie orecchie smettono di fischiare ma mi accorgo che la mia bocca ha un gusto di whisky mischiato a marijuana. Il mio stomaco mi ricorda che è affamato, le mie gambe mi fanno male. Sto davvero da schifo. Non posso immaginare come sarei stato adesso se avessi deciso di provare la coca di Simone.

Quando esco dalla doccia giro per tutto l'appartamento con soltanto un asciugamano addosso in cerca di caffé e di qualcosa da mangiare confermando che, effettivamente, sono l'unica persona qui. Mi ricordo allora del suono della porta che si chiudeva e delle tazze che sbattevano. Il frigo è terribilmente vuoto come quest'apartamento. Apro tutti gli armadi ma trovo soltanto alcune scatole di biscotti minuscoli che mi ricordano tanto quelli visti nelle economy class della Dragon Air. Poi noto una macchina del caffé con alcune cialde vicino. La visione mi ravviva lo spirito. La faccio partire. Mi siedo sorseggiando il mio caffé bollente mentre una rana colorata con indosso degli enormi occhiali mi guarda da un dipinto da quattro soldi dall'altra parte del osggiorno. Sembra che entrambi ci stiamo chiedendo chi sia l'altro.

Sento che il cervello rinizia a funzionare. Torno allora in camera da letto e guardo il telefono. Non ho idea in che parte di Pechino sia finito. Google Maps funziona tanto quanto basta per farmi capire che sono tra il terzo e il quarto anello vicino al Parco di Chaoyang. Ecco spiegato il silenzio interrotto solamente di tanto in tanto da una macchina di passaggio. Sul telefono vedo anche tre messaggi. Uno è di Simone. "Grazie per la serata" dice "sei sempre l'Alexander che mi ricordo. Le cialde per il caffé sono vicino alla macchinetta. Io devo vedere il mio cliente, poi vado da Anita prima di ripartire per Shanghai. Chiudi la porta quando esci. Ci vediamo la prossima volta, magari a Kyoto."

Non ho mai più visto Simone da allora.