L'avvertimento di Clarissa - Isobel Blackthorn - E-Book

L'avvertimento di Clarissa E-Book

Isobel Blackthorn

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Beschreibung

La vita della cassiera di banca Claire Bennett cambia quando vince alla lotteria e compra un’antica casa da ristrutturare sull’idilliaca isola di Fuerteventura.

Dopo essersi trasferita nel sonnolento villaggio dell’interno dell’isola, Claire si trova di fronte a un oscuro mistero. La sua nuova casa, conosciuta dagli autoctoni come Casa Baraso, è avvolta da una superstizione ultraterrena.

La sua mistica zia Clarissa la avvisa del pericolo ma Claire non le presta attenzione. Riuscirà a scoprire il segreto di Casa Baraso?

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L'AVVERTIMENTO DI CLARISSA

MISTERI DELLE ISOLE CANARIE - VOLUME 2

ISOBEL BLACKTHORN

Traduzione diSTEFANIA PARENTE

Copyright (C) 2018 Isobel Blackthorn

Layout design e Copyright (C) 2021 by Next Chapter

Pubblicato 2021 da Next Chapter

Copertina di CoverMint

Questo libro è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell'autrice o sono usati in modo fittizio. Ogni somiglianza con eventi reali, locali, o persone, vive o scomparse, è puramente causale.

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, inclusa la fotocopiatura, la registrazione o qualsiasi sistema di archiviazione o recupero delle informazioni, senza il permesso dell'autore.

INDICE

Comprare Un Sogno

Arrivo

Tiscamanita

Il Costruttore

Paco

Spostare Le Rocce

Betancuria

Lacrime

Puerto del Rosario

Olivia Stone

Antigua

Tuineje

Progressi

Una Lettera da Clarissa

Il Cantiere

La Maledizione

La Ronda Notturna

Nessun Posto Dove Stare

Fuerteventura Antica

Teorie Testate

La Prima Notte

Sfortuna

El Cotillo

Un Interludio

Señor Baraso

Escalation

Casa Coroneles

Forti Emozioni

Un Mese Senza Eventi

A Caccia di Tombe

Un Caso di Influenza

Recupero

Caro Lettore

Riconoscimenti

L'autrice

Per J.F. Olivares

COMPRARE UN SOGNO

Ognuno ha il suo prezzo. È il detto preferito di mio padre. Lui è un venditore di auto usate diventato promotore immobiliare. Io non sono nessuna delle due cose. Ma quando lessi in un giornale locale che il proprietario della casa dei miei sogni era intenzionato a demolirla, agii rapidamente. Gettai il buonsenso alle ortiche e, in un'unica mossa anche se complicata, mi lanciai a capofitto per salvare quella casa.

In verità, non era una casa, non era niente che potesse essere chiamato casa, l'edificio, non molto di più di sezioni di muri di pietra e di tetto, si reggeva con la sua stessa tenacia. Ben poco infatti era rimasto ad affrontare un vento implacabile. Poiché il rudere non si trovava tra le pieghe di verde della mia contea natale dell'Essex, né in nessun altro quartiere dai pascoli bucolici, ma su una pianura piatta e polverosa nell'arida Fuerteventura, un'isola che visitavo ogni anno per le mie vacanze estive.

Non ero del tutto priva di buon senso. Il mio rudere si trovava nella città dell'entroterra di Tiscamanita, a una distanza di sicurezza dalle spiagge della movida ma non così lontano dai sentieri battuti da essere isolato e remoto. L'isola era abbastanza desolata senza dovermi nascondere in una delle sue tante valli aride e vuote. In un villaggio ben organizzato, avrei avuto tutto ciò di cui avevo bisogno per una vita confortevole, sicura, sapendo che c'erano altri nelle vicinanze. Come donna single abituata a vivere in una vivace città inglese, bisognava pensare a queste cose.

I problemi erano cominciati nel momento in cui avevo deciso di agire. L'ex proprietario del mio amato rudere, il signore in attesa con la sua palla da demolizione, non era stato difficile da identificare. Il suo nome era menzionato nello stesso articolo di giornale, il giornalista di Fuerteventura si era sforzato di dare i dettagli della storia recente del proprietario. I vari dettagli genealogici non significavano niente per me. Sapevo leggere abbastanza bene lo spagnolo, l'avevo imparato per anni,ma non avevo alcuna comprensione della nobiltà spagnola e mi mancava una profonda conoscenza della storia coloniale di Fuerteventura. Nell'era della tecnologia informatica, quando gli affari si potevano condurre a distanza con pochi clic del mouse e qualche strana firma qui e là, niente avrebbe potuto essere più semplice che acquistare una proprietà all'estero. C'erano siti web che spiegavano ai potenziali acquirenti tutti i requisiti legali, le insidie e le trappole. Se non fosse stato per il fatto che il possessore della mia agognata casa dei sogni risiedeva da qualche parte sulla Spagna continentale e se non fosse stato deciso ad usare la proprietà per sviluppare qualsiasi aspirazione a lui cara, l'acquisto sarebbe andato in porto in pochi mesi.

La prima complicazione era stata localizzare l'indirizzo del proprietario. Inserendo il nome in alcune ricerche online, scoprii i suoi interessi commerciali. Con quelli scarabocchiati nel mio taccuino, assunsi un avvocato per il contatto iniziale e per confermare le mie credenziali: io, Claire Bennett di Colchester, un 'umile cassiera di banca di professione, fino a quando la mia fortuna non aveva girato con i numeri di un biglietto della lotteria e mi ero ritrovata sorprendentemente benestante.

Il pensiero di possedere tutta quella ricchezza si era impossessato di me, mi aveva dato la volontà di fare un salto nel buio, di rischiare. La maggior parte di me era rimasta scioccata che avessi avuto il coraggio di andare fino in fondo.

Con mio grande dispiacere, il proprietario, il Señor Mateo Cejas, rispose alla mia richiesta con un freddo e fermo rifiuto. Il rudere non era in vendita. Beh, lo sapevo. Il governo locale, in preda al senso di colpa per aver lasciato cadere in rovina tanti vecchi edifici, aveva ritenuto la dimora di particolare interesse e aveva già fatto un'offerta, che era stata rifiutata. Il resoconto completo delle frustrazioni dei vari funzionari e della comunità locale era stato raccolto dallo scrittore dell'articolo di giornale che condivideva il loro punto di vista.

Sospettavo che il Señor Cejas si opponesse alla trasformazione dell'edificio nell'ennesimo museo dell'isola, dato che il restauro di un mulino a vento a Tiscamanita serviva già allo scopo. O forse aveva in mente di costruire case per le vacanze sul consistente appezzamento di terreno. Era il tipo di piano che mio padre, Herb Bennett della Bennett and Vine, avrebbe avuto in mente. Demolire e ricostruire. Vendere ad un prezzo maggiorato a investitori desiderosi di affittare ai vacanzieri; i costruttori non potevano perdere. Erano una razza inesorabile, pronta a giocare una lunga partita. Senza dubbio Cejas avrebbe aspettato finché le mura non fossero crollate in un mucchio di macerie, poi il governo avrebbe ceduto e concesso un permesso di demolizione. Che Cejas potesse avere una ragione più profonda e complessa per voler cancellare la struttura non mi era venuto in mente.

Mio padre aveva cercato di dissuadermi dai miei piani. Mi telefonava la sera quando sapeva che stavo guardando Kevin McCloud e continuava a ripetere che c'erano un milione di usi migliori della mia vincita. Tenevo il telefono lontano dall'orecchio e lo lasciavo sproloquiare finché non esauriva i suoi consigli.

Ero irremovibile. Ero passata davanti a quella rovina numerose volte durante i miei giri in macchina per le strade secondarie dell'isola e ne ero rimasta affascinata. Una volta mi ero fermata a scattare una foto. Nel corso degli anni, avevo scattato una miriade di foto delle rovine dell'isola, ma quella era stata ingrandita, incorniciata e appesa sopra il camino del mio soggiorno. La fissavo ogni giorno, l'immagine che diventava per me un punto focale del pensare positivo, fervente a volte, un potente simbolo di desiderio di un tipo di vita diversa da quella in cui ero bloccata. Finché non vinsi alla lotteria, questa era la natura del mio desiderio.

Un ingente deposito sul mio conto corrente e non ero più bloccata dov'ero. Ero libera e quella libertà era entrata nella mia vita come un fulmine, destabilizzandomi nel profondo. Improvvisamente, non potevo immaginare di fare altro nella mia vita. Di tutte le vecchie case che stavano cadendo a pezzi sull'isola, una combinazione di mancanza di interesse, rigide norme di restauro, apatia e facilità di costruzione con blocchi di cemento, avevo scelto di salvare quella, come una bambina con il naso premuto contro la vetrina di un negozio di dolci, il dito appuntito che batte sul vetro.

Il testardo Señor Cejas non aveva ancora incontrato una donna del calibro di Claire Bennett, una donna fissata con un sogno, una donna disposta ad offrire molto di più dell'importo già fin troppo gonfiato offerto dal governo. Inizialmente, avevo offerto gli stessi quattrocentomila euro. Rifiutati. Quattrocentocinquanta. Declinati. Aumentai l'offerta di cinquantamila, con il tono delle lettere del mio avvocato a Cejas che aumentava in indignazione e le sue lettere a me in esasperazione, finché alla fine ci eravamo accordati su una somma. Seicentomila euro ed ebbi il mio grande progetto.

Quando ricevetti la notizia che la mia offerta era stata accettata, avevo già rinunciato al mio lavoro di impiegata in banca. Avevo dato le dimissioni nel momento in cui avevo saputo di essere ricca e che non avrei dovuto più lavorare se fossi stata attenta con i miei soldi. Fu con notevole sollievo che uscii dalla mia filiale per l'ultima volta, dicendo addio all'unica carriera che avessi mai conosciuto.

Per vent'anni avevo sopportato quell'ambiente claustrale, occupandomi quotidianamente di depositi e prelievi, mutui e prestiti, e di chi non era in grado di gestire le proprie finanze, in un modo o nell'altro. Preferivo i tempi pre-internet quando dovevamo scrivere sui libretti. Persino nel 2018, c'era sempre qualcuno per cui l'internet banking era incomprensibile. Spesso, erano anziani, ma non sempre. O c'erano quelli che usavano i servizi bancari via telefono ma non riuscivano a ricordare il loro numero cliente di riferimento o il pin, o le risposte a una delle domande di sicurezza che loro stessi avevano creato, o anche il saldo di uno dei loro conti. Venivano in filiale per ottenere il ripristino del loro conto dopo che era stato bloccato. Si lamentavano di questa piccola ingiustizia, come se la banca li avesse obbligati a mettere le mani sotto lo schermo dello sportello e ghigliottinato i loro polpastrelli. Poi ci mettevano un'eternità a fare una serie di semplici transazioni e io mi immaginavo una piastra di acciaio che scendeva con forza per impedire loro di respirare i loro disgustosi germi attraverso il plexiglas.

Quando quel tipo di cliente esaminava il personale, invariabilmente sceglieva me, la gentile Claire, per scaricare un potente mix di indignazione e disperazione. Io lo guardavo freddamente e spiegavo che l'internet banking era davvero molto facile e gli avrebbe dato il controllo delle operazioni bancarie e non avrebbe avuto bisogno di uscire con qualsiasi tempo e aspettare una lunga coda per fare ciò che avrebbe richiesto solo due minuti seduto comodamente al caldo e all'asciutto con una bella tazza di cioccolata. Molte volte un cliente scontento sosteneva che mi permetteva di mantenermi il lavoro e io rispondevo interiormente con un 'vorrei che non lo facessi' perché non volevo il lavoro. Anzi, lo detestavo. Avevo fatto domanda vent'anni prima solo perché era la fine degli anni '90 e Blair era al potere dopo anni di recessione economica, i posti di lavoro erano difficili da trovare e la finanza sembrava essere il nuovo dio, ed io, come molti altri, credevo che le cose sarebbero solo migliorate. Ero appena uscita dalla scuola e il settore bancario era il posto giusto. Ma non a Colchester.

La banca non era mai stato il mio sogno. Il mondo della finanza era tutto basato sui numeri, mentre io avevo ottenuto un buon voto in inglese, che trovavo affascinante, storia, che adoravo, e cultura generale, quest'ultim<t,dovuto all'amore per i quiz di mio padre che insisteva che andassi con lui ogni mercoledì alla serata Trivial del pub locale. Lui affondava in un paio di pinte di Directors ed io mi sedevo con una limonata e un pacchetto di patatine e acquisivo una notevole quantità di fatti apparentemente irrilevanti. Che si rivelarono essere altamente rilevanti, invece, quando si trattò di sostenere l'esame di cultura generale, un corso abilmente progettato per evitare che la marmaglia ottenesse un punteggio abbastanza alto per entrare nelle università più prestigiose.

Quando arrivò il momento di scegliere una carriera, mio padre scartò ogni idea di università, specialmente in scienze umane e arte, descrivendo quei corsi come vicoli ciechi.

Non c'era nessuna madre a sostenere il mio caso. Era morta nell'estate del 1985, quando avevo sette anni. Feci quello che ogni figlia obbediente avrebbe fatto in assenza di alternative: mi assicurai un lavoro nella banca locale. Il mio ultimo giorno restituii la mia uniforme e me ne andai a casa passando per il takeaway indiano e il negozio di alcolici per festeggiare.

La mia casa, un'umile dimora situata a metà di una fila di case a schiera scialbe e pidocchiose in Lucas Road, fu venduta in due settimane. Mentre avvenivano la vendita e l'acquisto, mi sentivo come se avessi strofinato la lampada di Aladino e stessi per essere trasportata in paradiso su un tappeto magico.

L 'unica altra persona che avesse un interesse personale nella mia vita era zia Clarissa. Era la sorella maggiore di mia madre, lngrid, una psicologa in pensione con una predilezione per l'occulto. Aveva avuto un ruolo vitale nella mia educazione dopo la morte di Ingrid. Una donna robusta, senza fronzoli, con un affetto per i colori intensi e gli odori aromatici, zia Clarissa mi aveva esposto per anni a Ouija, tarocchi, chiromanzia, enneagrammi e al suo cavallo di battaglia, l'astrologia. Nutrivo poco interesse per tutto questo perché l'occulto mi sembrava costruito su associazioni spurie e finzioni. Eppure non potevo negare che, attraverso di esso, mia zia era incredibilmente accurata quando si trattava di vedere i motivi più profondi e oscuri delle persone sotto la superficie. Io attribuivo questo talento alla sua formazione di psicologa, ma lei insisteva che le sue le percezioni fossero interamente frutto dell'occulto. Dato che non ero mai stata una che discuteva, assunsi un ruolo passivo, accettando la sua compagnia, assecondandola per il bene del nostro rapporto. Quando la informai che avevo comprato una proprietà a Fuerteventura e che stavo per trasferirmi sull'isola, lei si autoinvitò per un caffè mattutino.

Stavo sfornando un vassoio di muffin al cioccolato bianco e lamponi quando il campanello suonò.

“Hanno un profumo meraviglioso,” disse mentre schivavamo le scatole di imballaggio per andare in cucina, dove si appollaiò su uno sgabello.

Era una donna corpulenta e dalle ossa grosse, con capelli folti e ispidi che incorniciavano un viso acuto ma cordiale. Quei suoi occhi perspicaci mi seguirono per tutta la stanza mentre mi occupavo dei muffin. Poi rovistò nella sua borsa ed estrasse un foglio di carta protetto da un involucro di plastica.

Senza perdere tempo in convenevoli, disse che aveva inserito i miei dati di nascita in un sito di astrologia online che calcolava l'oroscopo rilocato. L'idea era, disse che gli angoli di un tema natale possono essere adattati alla nuova posizione. Infatti, l'intero tema natale di una persona poteva essere sovrapposto al globo in una serie di linee dritte e ondulate, fornendo un'enorme fonte di divertimento e intrigo per astrologi e vacanzieri. Clarissa me l'aveva già spiegato una volta. Era una grande fan. Io ero scettica.

Mentre versavo il caffè e mettevo i muffin nei piatti, Clarisse disse: “Non sono sicura di come dirtelo, ma ho pensato che fosse meglio avvisarti. In effetti, vedendo questo,” indicò il mio oroscopo rilocato, “vorrei che me l'avessi detto prima di andare avanti e comprare il posto. È andato tutto bene?”

“Sì.”

“Non prenderesti in considerazione la vendita? No, suppongo di no. Domanda sciocca.”

Reprimendo la mia irritazione, la fissai con curiosità.

“Beh, vedi, il fatto è che” indicò le linee e i glifi, “trasferirti a Fuerteventura mette Nettuno al tuo Nadir.”

“E?”

“Beh, Nettuno quadra anche con il tuo ascendente rilocato. Come se questo non fosse un ammonimento sufficiente, hai la Luna e Saturno entrambi nella dodicesima casa, la casa dei dolori.”

“Volevo dire, che significa tutto questo?”

Alzò lo sguardo al soffitto. “Tipico della Luna in Leone.”

“Mi dispiace avere la Luna in Leone. Per favore, dimmelo.”

“La posizione di Nettuno ti lascerà esposta all'inganno sul fronte domestico, come minimo. È davvero uno dei posizionamenti più difficili quando si tratta di comprare una casa. A meno che tu non stia aprendo un ritiro spirituale, suppongo.”

“Mi vedi davvero fare una cosa del genere?”

“Difficilmente ma tutto è possibile.” Uno sguardo vitreo le apparve sul viso mentre continuava. “Sarai esposta alle impressioni psichiche. Con la tua Luna nella dodicesima, questa tendenza è rafforzata. E anche con Saturno lì, soffrirai molto isolamento, solitudine e sarai esposta a molta paura. Attenzione ai nemici nascosti.”

Non risposi. Mantenni un'espressione vuota mentre trattenevo lo scoppio di una risata cinica. Vedendo che le mie orecchie erano chiuse, non continuò.

Mentre mangiavamo e bevevamo, mi aggiornò sulle sue avventure e sui piccoli pettegolezzi sui suoi amici.

Quando i muffin furono ridotti a poche briciole nei nostri piatti, tornò all'argomento del mio oroscopo. “Mi dispiace essere un messaggero di sventura. Potrebbe non finire così male. Soprattutto se stai attenta. Il lato positivo è che imparerai molto.”

“Beh, questo è di conforto.”

“Basta essere consapevoli che le persone non sono sempre come sembrano.”

“Non sono nata ieri.”

“Oh, ora ti sei offesa.”

Giocherellai con la mia tazza. “So che hai buone intenzioni, ma è solo che sono tutti contro di me. Persino il proprietario, Cejas.”

“Che cosa ha detto?”

“Prima non voleva vendere finché non avessi alzato il prezzo.” Tralasciai di quanto. “Poi mi ha scritto personalmente consigliandomi di fare quello che aveva progettato e di demolire.”

“Mi chiedo perché,” disse lentamente.

“Per costruire case per le vacanze, immagino.”

Andai a mettere il mio piatto vuoto sullo scolapiatti e rimasi con le spalle alla stanza per finire il mio caffè. Mi sentivo sulla difensiva, tutti coalizzati contro di me, il mio grande progetto disprezzato. Era deprimente: quando avevo davvero bisogno di sostegno, non ne arrivava nessuno. Vedendo la mia faccia quando mi voltai, Clarissa scivolò giù dallo sgabello e venne ad abbracciarmi.

“L'astrologia non è tutto e la fine di tutto. Non si può davvero dire come si svolgerà il tutto. Ci sono sempre altri fattori. Sii positiva. Tu stai seguendo il tuo sogno. Non molti hanno la possibilità di farlo.”

Incoraggiata dalla sua solidarietà, le descrissi i miei piani per la ristrutturazione. Divenni presto animata ed entusiasta, e lei disse che poteva vedere che stavo agendo per un nobile impulso.

“Verrò a trovarti quando sarà finita.”

“Non prima?”

“Non sopporto i cantieri. Troppo inquietanti.”

Dopo che se ne fu andata, continuai con l'imballaggio e riflettei sulle sue parole. Anche se mi avesse avvertito in tempo, non avrei rimandato una decisione importante sulla base di una coincidenza astrologica. Inoltre, stavo agendo sulla base del mio profondo apprezzamento per l'isola e il mio desiderio di salvare una delle sue grandi case dalla rovina completa. E non mi sarei trasferita se non fosse stato per la vincita alla lotteria. Non osai chiedere a Clarissa il significato astrologico di quel colpo di fortuna. Non volevo sapere cosa avessero da dire le stelle. Il mio saldo bancario diceva abbastanza.

ARRIVO

Una mattina presto di marzo, ero seduta nella sala partenze dell'aeroporto di Gatwick, tutta compiaciuta e felice di lasciare il torbido tempo britannico. Vestita come per un appuntamento, con pantaloni in tinta unita e una camicetta ampia, ero schiacciata tra un uomo grassoccio in pantaloncini e una grandemaglietta bianca, e una donna magrolina con una finta abbronzatura che puzzava fortemente di olio di cocco. Era vestita con una gonna stretta che le arrivava a malapena a metà coscia e un top coordinato che rivelava il seno. Entrambi i personaggi erano un forte richiamo alla destinazione di vacanza verso cui mi stavo dirigendo. Sembravano anche conoscersi tra di loro e intrattenevano una conversazione sulla mia testa. Mi appoggiai ancora di più allo schienale della mia sedia per permettergli di averla, ognuno che informava l'altro del luogo preferito dell'isola, l'uomo diretto a Gran Tarajal, la donna a Morro Jable tutte e due città di mare del sud. Erano il tipo di vacanzieri tra i quali non mi era mai dispiaciuto trovarmi nei voli precedenti. Questa volta, mi sembravo a parte. Con la mia nuova acquisita ricchezza, non avevo bisogno di viaggiare in economica, ma gli unici voli di lusso per Fuerteventura comportavano un cambio di aereo a Madrid. Eppure, considerando le condizioni che le compagnie aeree economiche costringevano i passeggeri a sopportare, quel fastidio poteva valere la pena.

La sala delle partenze, un recinto che dava una sensazione ingannevole di grandezza al primo ingresso, era diventata claustrofobica man mano che i passeggeri riempivano tutti i posti a sedere disponibili e si affollavano nel perimetro dello spazio. La porta della passerella era chiusa e c'era una marcata assenza di personale. La gente stava diventando irrequieta. La donna accanto a me alla mia destra era agitata e le ascelle dell'uomo alla mia sinistra, avevano cominciato una fervente attività.

La stanza tirò un sospiro quando apparve una donna in un'elegante divisa e dietro di lei un uomo dal taglio curato. Presero posizione dietro lo schermo di un computer e fissarono la folla con aria assente. La gente si alzò e si formò una coda. La donna ricevette una telefonata, stabilì un contatto visivo con la persona in testa alla coda e l'imbarco iniziò. Io rimasi seduta. Il mio posto sull'aereo era assicurato e decisi che era meglio trascorrere il minor tempo possibile schiacciata in un affare stretto, coperto di vinile e senza spazio per le gambe.

Il flusso si fermò quando una donna con dei tacchi ridicolm nte alti cercò di portare a bordo una borsa a tracolla delle dimensioni di una grande valigia. Scoppiò una discussione, la donna che insisteva per portarla a bordo, il giovane uomo che insisteva per metterla in stiva. Poi intervennero gli altri, irritati, e l'intero fiasco prese le sembianze di una rissa da pub. Mi dispiaceva per il personale. Ogni lavoro che comportava contatti con il pubblico aveva i suoi lati negativi.

Quando l'area delle partenze, difficilmente la si poteva chiamare sala, si svuotò, mi alzai e presi il mio posto alla fine della fila.

Viaggiavo con una leggera borsa di tela che conteneva la mia borsa, le chiavi, l'iPod e le cuffie wireless e, al sicuro in uno spesso portafoglio di plastica, vari documenti ufficiali che mi permettevano di risiedere a Fuerteventura: il mio futuro.

Era difficile sapere se fosse preferibile il posto sul corridoio o quello vicino al finestrino. Sicuramente non era il posto centrale, perché la compagnia aerea era decisa a stipare sull'aereo il maggior numero di passeggeri possibile, basando il calcolo sulle proporzioni generiche di un esile bambino di dieci anni. Avevo optato per il corridoio, nonostante dovessi sporgermi di lato ogni volta che passava qualcuno.

Come il vettore potesse giustificare il fatto di stipare i vacanzieri nei loro aerei in quel modo, era una questione di considerevole speculazione, ma la maggior parte era felice per le tariffe economiche ed era pronta a sopportarlo.

Allacciai la cintura e tirai fuori le mie cuffie. Un volo di quattro ore e mezza significava che potevo ascoltare una buona dose della mia playlist dei Cocteau Twins.

Non mi erano sempre piaciuti i Cocteau Twins. Non li avevo mai sentiti nominare fino a quando mia madre non era morta. Zia Clarissa mi aveva raccontato, nella mia prima adolescenza, che Ingrid di solito ascoltava il gruppo con il suo walkman. Si lasciò sfuggire in un momento di malinconia che un ritornello del loro singolo 'Pearly Dewdrops' Drops’ era stata l’ultima cosa che mia madre aveva sentito prima di scivolare dalle sue spoglie mortali. Il suo walkman si era fermato quando Elizabeth Fraser era a metà della prima strofa.

Mia madre, lngrid Wilkinson, era molto simile a zia Clarissa. Anche se era stata molto più che una dilettante quando si trattava del lato mistico della vita. Le sorelle provenivano da una lunga stirpe di sensitivi, indovini e occultisti. Uno dei loro bisnonni era un membro dell'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata. Una delle loro nonne era una teosofa. I Wilkinson erano di buona estrazione sociale, tra loro c'erano banchieri e ricchi uomini d'affari. Come aveva fatto una donna col background di Ingrid a sposare un venditore di auto usate di Clapton-on-Sea? La risposta stava nell'aspetto eccezionale e nel magnetismo naturale di mio padre, insieme a un'affinità di coppia che indicava che erano anime gemelle. Inoltre, si incontrarono negli anni del flower power, quando l'idealismo formava una nebbia illusoria nelle menti dei suscettibili, e mia madre gli credette quando lui le disse che era un attore. Cosa che, in un certo senso, era.

Clarissa non aveva mai preso in simpatia mio padre. In un momento di sincerità, aveva espresso la sua opinione che uomini come Herb Bennett dovevano stare dietro le sbarre per le truffe che facevano. Non era mai stata una persona che usava giri di parole ed era sempre stata convinta che lui mi aveva avviato ad una carriera mediocre nel settore bancario quando ero capace di molto, molto di più.

Ingrid era stata la sognatrice della famiglia. Nata nel 1950, i suoi gusti musicali passavano dal White Album dei Beatles e dall'allucinante Grace Slick alle acrobazie vocali di Elizabeth Fraser dei Cocteau Twins, passando per i Tangerine Dream, privilegiando il lato elettronico dell'era post-punk degli anni '80. Dopo la sua morte, mio padre si affrettò a far pulizia delle sue cose, ma zia Clarissa intervenne per recuperare la collezione di dischi, le foto e un album di memorabilia musicali della mamma.

Dopo aver scoperto la stretta associazione tra la band e la morte di mia madre, non volli ascoltare i Cocteau Wins, anche quando i miei amici di scuola, amanti del dream-pop, erano entusiasti dell'ultima uscita del gruppo. A quel punto avevo già sentito il brano che mia madre aveva apprezzato in quel momento fatale e rifiutai tutta la discografia del gruppo per una questione di principio, come se la loro musica, nella sua interezza, avesse causato la sua morte. Ho trascorso i miei vent'anni e gran parte dei miei trent'anni sorda come una campana ai suoni emanati dal gruppo. C'era voluto il trentesimo anniversario della scomparsa di mia madre per far scattare un interesse, grazie a una commessa di un negozio di dischi che aveva scelto il mio ingresso per mette e il brano incriminato, 'Pearly Dewdrops' Drops'.

Mi fermai e, per la prima volta nella mia vita, ascoltai realmente, aprendomi e lasciando entrare il suono, e in pochi secondi ero ipnotizzata. Fu una specie di risveglio. Usai il mio buono regalo di compleanno datomi da mia zia e misi insieme il resto per comprare tutto quello che avevano sui Cocteau Twins. Trent'anni e fui guarita dalla mia ostinata resistenza e mi sentii più vicina a mia madre di quanto mi fossi sentita in tutto quel tempo, come se lei fosse con me, dondolando la testa accanto a me, incantata.

Da quel momento in poi, l'unico gruppo che mia madre ed io apprezzammo furono i Cocteau Twins, e la loro musica fu l 'unico modo in cui mi sentissi legata a mia madre.

L'aereo rullò e poi decollò, ed eccomi seduta lì, contenta nel mio piccolo mondo di suoni, pieno di aspettative. Non avevo idea del tipo di vita verso cui stavo volando.

Liz Fraser mi accompagnò fino a Fuerteventura, i toni melliflui della sua voce su 'Aikea Guinea' che salivano mentre l'aereo scendeva. Stavamo costeggiando la pista quando la canzone finì e io spensi l'iPod e rimisi le cuffie in borsa.

Mi misi seduta dritta con la borsa in grembo, ansiosa di sbarcare prima della folla. Nel momento in cui l'aereo si fermò e gli altri si spostarono e si alzarono, mi precipitai verso l'uscita più vicina, lottando contro uomini che tiravano il bagaglio a mano dagli scomparti e donne che puntavano il sedere nel corridoio mentre si occupavano delle loro cose sui sedili.

La pista corre parallela all'oceano e l'edificio dell'aeroporto corre con essa. Progettato per assomigliare a un hangar, l'edificio è allungato con un tetto elegantemente curvo, pareti di vetro e molti lucernari. È uno spazio aperto, leggero ed arioso che dà al primo visitatore l'impressione di un paese abituato alla luce senza fine del sole.

Tornata tra la calca, raccolsi i miei bagagli, due valigie di modeste dimensioni, e feci il check-in al banco dell'autonoleggio.

La libertà mi accolse mentre attraversavo il parcheggio. Trovai la mia macchina al riparo sotto la sua tettoia di ferro ondulato e, in quel luminoso e soleggiato giorno di marzo, partii verso nord sull'autostrada per la capitale, Puerto del Rosario, dove avevo prenotato un appartamento per un mese.

Tutto appariva come sempre, ma mi sentivo nettamente diversa, come se dietro di me l'aeroporto si ripiegasse su se stesso come una sedia a sdraio e si mettesse in deposito.

Il viaggio fu abbastanza piacevole, con l'oceano in vista, e poi la capitale, una distante distesa bianca che si insinuava nella pianura arida e aspra. Alla mia sinistra, sul lato alto dell'autostrada, superai una serie di abitazioni poco fantasiose, guancia a guancia: costruttori, residenti e villeggianti innamorati della vista dell'oceano e della spiaggia, a breve distanza. Anche se la camminata con perizoma ed asciugamano era resa ridicolmente difficile dalla presenza ostruzionistica dell’autostrada. Mi sembrò che lo sviluppo dell'isola avesse un bisogno disperato di una regolamentazi ne e di una pianificazione urbana rigorose. Altrimenti ogni centimetro quadrato di terra sarebbe stato dato in pasto all'avidità e il risultato sarebbe stato un assalto ai sensi.

Conoscevo bene Puerto del Rosario, abbastanza da sapere quali erano le zone migliori dove alloggiare. Avevo scelto di affittare nella capitale perché i negozi, le banche, le zone industriali, i depositi di auto e i commerci erano tutti a portata di mano.

Il mio appartamento si trovava in una strada laterale dell'Avenida Juan de Bethencourt, che prende il nome dal cavaliere normanno che aveva conquistato per primo le isole. A pochi isolati di distanza c'era un supermercato e il porto stesso era a circa quindici minuti a piedi; in discesa significava in salita al ritorno, quindi avrei scelto il momento. Calle Barcelona era una delle strade più consolidate, ma lo sviluppo della città era stato sporadico, e anche qui gli isolati liberi aspettavano ancora di essere riempiti.

Le strade sono strette, il traffico a senso unico, i marciapiedi senza spazio per le piante. Gli edifici sono in gran parte a due piani. La loro combinazione accerchia la cittadinanza, un po' come le strade di Colchester. In tutto, ci sono troppo pochi alberi, una scarsità di verde, anche se il consiglio si è preso la briga di infilare del fogliame qua e là, dimostrando la consapevolezza della necessità di un po' di ombra in un clima così caldo e secco.

Prendendo le strade della città, presi nota mentalmente di mettermi al lavoro per creare un vero e proprio giardino sulla mia proprietà, un giardino pieno di piante locali e palme, qualsiasi cosa fosse resistente e tollerante alla siccità e al vento.

D'impulso, feci rifornimento in un supermercato di passaggio, ed arrivai al mio appartamento a metà pomeriggio, fermandomi nello spazio di fronte destinato all'auto. La donna della porta affianco mi stava aspettando.

Dolores doveva avermi visto arrivare, perché uscì e mi salutò in strada, offrendomi le chiavi. Il suo spagnolo era rapido e il suo accento pesante ma nel corso degli anni di visite sull'isola avevo imparato a prevenire il flusso frettoloso, il tono nasale, la mancanza di consonanti completamente enunciate. Una breve conversazione e Dolores mi lasciò per traghettare le mie valigie e la mia spesa all'interno.

L'appartamento era al pianterreno, e comprendeva un soggiorno open space con una piccola cucina nascosta in un angolo, una camera matrimoniale e un bagno. L'arredamento era essenziale e pulito. Una volta messi i prodotti deperibili in frigo, mi sedetti sul divano e misi i piedi sul tavolino di fronte. Stavo per prendere possesso del mio vecchio e maestoso rudere. Il senso di trionfo mi fece gonfiare fino al doppio delle mie dimensioni.

Non avevo idea di cosa mi aspettasse, a parte quello che avevo imparato da Kevin McCloud. Non avevo nemmeno idea di cosa avrei fatto della mia vita sull'isola, ora che ero una signora dell'alta società, ma ero sicura che mi si sarebbe presentato qualcosa da fare. L'unica cosa che mi importava era che ero arrivata ed ero piena di aspettative.

Guardare le spoglie pareti bianche dell'appartamento mi fece subito sentire svogliata e non vidi l'ora di andare a Tiscamanita. Bevvi un bicchiere di succo d'arancia, mi feci un panino con formaggio e prosciutto locale e mi diressi fuori dalla porta.

TISCAMANITA

Ci sono cinque strade per Tiscamanita e io le conosco tutte e cinque. La più veloce consiste nel dirigersi verso ovest da Puerto del Rosario e tagliare un sentiero attraverso Casillas del Ángel prima di virare verso sud e continuare attraverso Antigua. La strada taglia un percorso rettilineo attraverso la piatta e denudata pianura costiera, facendo un volo di corvo verso le montagne che si alzano in lontananza. Lontano dall'arteria che collega il villaggio di pescatori del nord trasformato in città di villeggiatura, Corralejo, fino a Puerto del Rosario e poi a sud fino a Morre Jable, Fuerteventura assume la sua vera natura, una vasta distesa vuota di terra senza alberi, coltivata in alcuni punti, decorata con basse catene montuose che definiscono il paesaggio e le conferiscono la sua bellezza. Felice di lasciarmi la città alle spalle, ero attratta da queste catene brulle, dalle loro forme modellate e dai loro colori delicati.

La maggior parte dei vacanzieri viene per le spiagge. Fuerteventura è un'isola di spiagge. Per apprezzarne l'interno, l'osservatore ha bisogno della tavolozza dell'artista, un occhio capace di rilevare i toni morbidi dell'ocra e dell'oro, della terra di Siena e dell'ambra pallida, gli accenni di rosa, di rame e di bronzo. Se l'osservatore pensa a tutto questo come al marrone, non ci sono posti del genere sull'isola. A meno che l'occhio non catturi le sfumature, il cuore, la fragilità dell'ambiente desertico, allora vedrà solo pianure senza vita fiancheggiate da montagne senza vita, il tipo di terra che molti evocherebbero in parti del Nord Africa e del Medio Oriente e riterrebbero adatta a nulla. I colori discreti e mutevoli sono stati una delle caratteristiche dell'isola che mi hanno affascinato per la prima volta. L'architettura tradizionale è al secondo posto. Dopo tre vacanze, i miei amici cominciarono a chiedermi perché non avessi scelto di andare da qualche altra parte, dopo tutto c’era un mondo da vedere, e io difesi la mia decisione dicendo che il caldo e il sole erano garantiti e, per soddisfare i loro pregiudizi, spiagge stupende.

Tiscamanita è un piccolo villaggio agricolo situato un po' più a sud dell'epicentro dell'isola, su una pianura in pendenza circondata da una serie di cime dalle forme interessanti. Le viste sono a trecentosessanta gradi e splendide. Il villaggio in sé non è un granché. Qualche sforzo è stato fatto con la piazza principale e qualche negozio che ci lotta sopra, l'entroterra è costituito da case coloniche sparse qua e là, intervallate da appezzamenti di terra e case mezze costruite sedute accanto a muri a secco fatiscenti o ai resti delle mura di qualche antica dimora, prova che la gente cerca ancora di far funzionare le cose mentre molti hanno fallito. È sempre stato un posto duro dove vivere. Un solo campo è coltivato dove una volta erano tutti coltivati. Per la maggior parte Tiscamanita ha abbandonato lo stile di vita tradizionale e chi potrebbe biasimare il contadino per volere cose più facili? Come si fa a coltivare una terra che riceve al massimo venti centimetri di pioggia all'anno? È brutale.

Eppure Tiscamanita una volta era ricca per gli standard dell'isola, arricchita dal succo della pancia di uno scarafaggio. Il piccolo succhiatore beveva dal fico d'India e le sue interiora diventavano di una ricca tonalità di rosso e, quando veniva schiacciato, il succo del coleottero si infiltrava nella carne e nei tessuti creando macchie rosso vivo che senza dubbio erano difficili da rimuovere. Queste scoperte portarono, alla fine del diciottesimo secolo, all'industria della cocciniglia. I poveri contadini si ritrovarono ad affrontare lo scomodo compito di coltivare campi di cactus attraverso i quali dovevano poi farsi strada per eliminare uno ad uno gli scarafaggi. L'unico aspetto positivo dal punto di vista agricolo era che i raccoglitori restavano in piedi. D'altra parte, stavo per scoprire che la rovina di ogni contadino si trova nel piegarsi. C'erano un sacco di soldi nella cocciniglia, e i proprietari terrieri borghesi lo avevano saputo. Diavoli fortunati. Non furono loro a pungersi le dita. Guardandomi intorno mentre guidavo attraverso la città, le tracce dei fichi d'India erano ovunque, ma non sembrava che qualcuno li coltivasse, nemmeno per la marmellata.

Il mio cuore si gonfiò nel petto mentre parcheggiavo fuori dalla mia proprietà. Stentavo a credere di possedere l'intero mezzo ettaro. Il rudere era stato costruito all'estremità settentrionale dell'isolato, lasciando un considerevole pezzo di terra che si estendeva dalla strada al muro a secco sul retro. Al di là, a dominare il paesaggio a nord-est elevandosi dietro alcune basse colline, c'era un vulcano con la sua bocca spalancata ed i fianchi rugginosi. Verso sud-est c'erano gli altri vulcani della catena e verso sud, una serie di cime dentellate in lontananza. Il massiccio della. Betancuria si ergeva a est, con le montagne che lo precedevano. Dopo quattro decenni rinchiusa a Colchester, l'effetto su di me fu di euforia. L'ampia distesa di terra arida mi sollevò il morale e liquidai come hocus pocus le preoccupanti previsioni di zia Clarissa. Mi fu anche di conforto sapere che avevo un vicino su ambedue i lati e uno dall'altra parte della strada, anche se non c'era nessun segno che ci fosse qualcuno in nessuna delle case.

Mi avvicinai al rudere. La struttura era arretrata rispetto alla strada e costruita in modo molto uniforme. La facciata principale comprendeva otto cavità imbarcate dove una volta c'erano le finestre. Le cavità erano uniformemente distanziate, quattro sopra e quattro sotto. Al livello inferiore, una delle cavità centrali era più larga delle altre e avrebbe dovuto contenere la porta d'ingresso. In alcuni punti l'intonaco si stava sgretolando. Alcune aree erano in pietra a vista. I muri laterali erano poco interessanti e contenevano due cavità di finestre murate al livello superiore. Sul retro c'erano tre piccoli annessi, uno dei quali in buono stato, ma senza il tetto.

Teoricamente avevo bisogno di un permesso sotto forma di chiave per entrare nell'edificio principale. Non che ci fosse una porta da aprire, ma conoscevo un modo per entrar dal retro, dove c'era un'apertura in un portone malamente sbarrato. Mi ero imbattuta in questo varco durante la mia ultima visita all'isola, il giorno in cui avevo scattato la mia preziosa foto che avevo ingrandito e incorniciato, la foto che era stata appesa nel mio salotto come un richiamo.

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Mi infilai nel varco ed entrai in un breve passaggio che portava ad un patio interno, che dava sull'interno dell'edificio che avevo visto solo nelle immagini online inviatemi dal mio avvocato quando il Señor Cejas era deciso a farmi desistere dall'acquisto. La parola devastazione descriveva a malapena lo stato di abbandono. Alcune delle pareti interne erano le uniche rimaste. Mancava gran parte del tetto. Le scale per il livello superiore non esistevano e mancava la balconata che avrebbe dovuto correre lungo tre delle pareti del patio interno, tranne una sezione sporgente nel muro occidentale sostenuta da due pali sottili. Non osai camminare sotto di essa. Potevo sentire la voce fuori campo di Kevin McCloud che diceva ai suoi spettatori che, ancora una volta, la proprietaria aveva morso più di quanto fosse in grado di masticare e i costi e i tempi sarebbero stati enormi.

Non se posso evitarlo.

Mi feci strada in giro. In alcune stanze c'erano tracce di pittura che rimandavano a tempi più gloriosi. Molte pareti erano state dipinte di un giallo ocra. Un semplice fregio decorava la parte superiore di alcune pareti, linee dritte di blu cobalto e nero e fiori a stencil negli angoli. Colori diversi, più terrosi, erano stati impiegati in un disegno simile di bordi a linee dritte e semplici lavori a stencil in altre parti della casa.

Sembravano esserci quattro grandi zone giorno, una sala da pranzo e una cucina, e quello che probabilmente era una lavanderia o un bagno. Non c'era modo di accedere al piano superiore, ma avevo immaginato una disposizione simile di grandi stanze e avevo stimato almeno sei camere da letto. In una delle stanze al piano inferiore le assi del pavimento erano state tirate su, rivelando il sottofondo di supporti e travetti.

L'intera disposizione delle stanze si affacciava sul patio interno, che era stato diviso in due da un muro divisorio. Il muro aveva un grande buco al centro, come se qualcuno non avesse voluto il muro in quel punto e lo avesse sfondato, e la prova che era un'aggiunta successiva si poteva notare nel modo in cui tagliava una porzione di architrave e sezionava la balconata esistente nel muro ovest.

Mi misi accanto al buco nella parete divisoria, in quello che sarebbe stato il centro del patio e assorbii l'atmosfera. Il vento soffiava attraverso ogni fessura del rudere, gemendo e fischiando. Oltre al vento non c'era nessun altro suono. Non riuscivo a sentire l'abbaiare di un cane o il motore di un veicolo o qualsiasi altra prova di vita oltre le mura. Nonostante il vento, c'erano sacche di quiete e il rudere emanava una qualità senza tempo. Incastrato nel suo stato fatiscente rimanevano deboli echi della sua storia, ricoperti dal dolore, come se le stesse pietre e le antiche travi piangessero il loro passato, quando erano unite come una sola cosa, forti, fiere e vere.

Si diceva che la casa avesse duecentocinquant'anni, costruita da una ricca famiglia di Tenerife che si godeva le ricchezze delle sue esportazioni di vino e poi venduta a una famiglia di avvocati. Mi immaginavo cosa potesse essere, la magnificenza del legno intagliato e dei soffitti a volta, i balconi, il patio pieno di piante e di eleganti posti a sedere all'aperto.

Mi immaginai uomini e donne in abiti d'epoca, tutti con la schiena dritta e rispettosi di Dio, che si occupavano dei loro affari quotidiani con voci sommesse. Avrebbero avuto anche dei servitori, per cucinare e pulire. La signora della casa avrebbe curato le sue piante e sarebbe andata a messa. Il padrone avrebbe letto un libro o un giornale e sarebbe andato in viaggio a dorso di cammello o d'asino per occuparsi degli affari. Avrebbero discusso delle loro preoccupazioni sul tempo, la salute pubblica, il raccolto, le questioni politiche o commerciali. Forse ricevevano dei visitatori, il prete, ospiti per la notte. E ci sarebbero stati bambini e membri della famiglia allargata. Zie e zii e cugini. Uno o due nonni sopravvissuti.

Fuori dalle mura, il vento avrebbe soffiato e raccolto la polvere. L'interno di Fuerteventura sopporta molti giorni soffocanti in estate e, senza alberi per ombreggiare il terreno roccioso, le temperature ambientali salgono a livelli infernali. Non potevo immaginare nessuno della mia raffinata, ben educata famiglia avventurarsi fuori, a meno che non fosse necessario. Non in estate. Avrebbero approfittato invece pienamente della loro vita di clausura all'interno, godendosi il fresco del patio interno.

Un leggero odore di urina animale che aleggiava nella brezza mi riportò al presente. Un cane? Un gatto? La luce si stava affievolendo e pensai che fosse saggio tornare al mio appartamento prima che calasse la notte. D'impulso, pensai di portare con me un piccolo pezzo della mia nuova tenuta di campagna per celebrare l'evento. Presi una pietra irregolare dal muro divisorio. Era grande quanto la mia mano, di un colore arancio ocra e ruvida al tatto. Mentre mi allontanavo, un'improvvisa folata di vento soffiò attraverso il buco nel muro. Era un vento straordinariamente freddo per il clima. Mi fece venire la pelle d'oca. Non ci pensai oltre.