La perla sanguinosa - Emilio Salgari - E-Book

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Emilio Salgari

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Beschreibung

La Perla Sanguinosa è un romanzo del 1905 di Emilio Salgari. Poiché vuole liberare l'amata Juga, rapita da una potente setta religiosa, l'abile pescatore di perle Palicur uccide un settario. Finirà deportato a Port Cornwallis, bagno penale, tristemente famoso, delle isole Andamane. L'unica possibilità per riavere Juga è il recupero della famosa e venerata "Perla Sanguinosa", una perla rossa di straordinarie dimensioni trafugata dalla statua di Siddharta Gautama sulla quale si trovava e finita, dopo molte vicissitudini, tra i fondali perliferi dei banchi di Manaar. Una spettacolare evasione, favorita dall'aiuto di due compagni di sventura, il mulatto e macchinista Jody e Will, ex quartiermastro della marina inglese, porterà Palicur al recupero della perla e alla liberazione di Juga. Ma le disavventure vissute per raggiungere l'agognata meta saranno rese più pericolose dal Guercio, infido personaggio, già sgradito compagno di prigionia dei tre, a cui la forzata convivenza aveva procurato parecchi grattacapi.

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Emilio Salgari

La perla sanguinosa

Emilio Salgari

LA PERLA SANGUINOSA

Wikibook
ISBN 978-88-3295-027-4
edizione digitale
Maggio 2017
www.wikibook.it
ISBN: 978-88-3295-027-4
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Indice

LA PERLA SANGUINOSA

PARTE PRIMA

​PARTE SECONDA

LA PERLA SANGUINOSA

Emilio Salgari

PARTE PRIMA

I FORZATI DI PORT-CORNWALLIS

1 - La spia del penitenziario

«Spia!»

«A me spia!»

«Bandito!»

«Taci, brutto malabaro!»

«Negalo, se l'osi!»

«Ah! A me della spia!»

«Confidente dei sorveglianti! Assassino che ci fai somministrare il gatto a nove code senza averne colpa.»

«La vuoi finire?»

«No, e lo ripeterò finché avrò soffio di vita. Spia! Spia! Spia!»

«Vuoi dunque che ti rompa le ossa?»

«Provati.»

«È perché hai l'uomo bianco dalla tua? Vi affronto tutti e due e vi riduco in una poltiglia. Nessuno ha mai tenuto testa al Guercio, il più formidabile lottatore di Ceylon.»

«Basterò io solo: un malabaro non teme cento cingalesi.»

«Ma il Guercio sì.»

«Sarò io che ti fracasserò il muso e che manderò i tuoi denti a passeggiare nella foresta, a formare la delizia dei cobra capelo.»

«Non la vuoi finire, malabaro?»

«No, perché sei una spia, la spia del bagno.»

Una spaventosa bestemmia sfuggì dalle labbra del cingalese.

«Che Budda sia maledetto se non t'ucciderò. È troppo, basta!»

«Tu ascoltavi i nostri discorsi!»

«Tu menti!».

«E ti sei accostato a me ed all'uomo bianco, strisciando come un serpente. Tutti sanno che sei il beniamino dei sorveglianti e del comandante, e che mai hai assaggiato la doppia catena, cane d'un cingalese.»

«Ti uccido! Bisogna che ti uccida! Spia! Ebbene sì, io ti tenevo d'occhio e ti dirò anche che ho udito tutto quello che hai detto al forzato bianco. Ah! Ah! L'europeo che sdegna di parlare con me, come se non fosse anche lui un galeotto, vorrebbe andarsene? No, ci sarò io là, al momento opportuno, per impedirglielo.»

Una salva di bestemmie e di ululati fecero eco alle audaci e compromettenti parole del cingalese.

«Dagli a quella spia, malabaro!» gridano in coro quindici o venti voci.

«È ora di finirla con quel briccone.»

«Giù, dalle, malabaro!»

«Ah! Tutti contro me, - ghignò il Guercio, furioso. - Ebbene la vedremo, brutti sciacalli. Ad ognuno il suo ed a suo tempo. Vi farò sentire se pesano i pugni cingalesi.»

«Ebbene, comincia da me, - gridò il malabaro. - Vedremo se fra cinque minuti urlerai tanto. Spicciati: l'affare deve essere finito prima che giungano i guardiani.»

«Ecco, prendi!» ruggì il cingalese, avanzandosi coi pugni raccolti sul largo petto.

Quella scena aveva luogo in una piccola radura che s'apriva in mezzo alle foreste che circondano il penitenziario inglese di Port-Cornwallis, fondato dal governo anglo-indiano, pei forzati pericolosi, sulle coste orientali dell'isola Nord-Andamana, nel golfo del Bengala, stabilimento che dopo una diecina di anni doveva venire soppresso, a causa del clima micidiale che faceva strage dei condannati e dei sorveglianti, ed a causa anche delle ostilità degli indigeni; ma che nel 1850 era ancora floridissimo.

Una ventina d'uomini, per la maggior parte indiani e cingalesi, si erano raccolti in quella radura, approfittando del riposo del mezzodì e dell'assenza dei guardiani, che avevano preferito schiacciare un sonnellino nelle amache della tettoia, sicuri che nessuno dei sorvegliati avrebbe approfittato per prendere il largo date le pessime disposizioni che fino allora avevano dimostrato gl'indigeni, nemici risoluti d'ogni straniero.

I due uomini che s'erano assaliti prima a parole e che ora si preparavano a demolirsi le costole a vicenda, nonostante i rigorosi regolamenti del bagno e la paura di venire premiati con una solenne fustigazione del terribile gatto a nove code, terrore dei marinai inglesi, erano due campioni capaci di disputarsi lungamente la vittoria.

Colui che aveva sollevato la questione e che veniva chiamato il malabaro, era un indiano di forme atletiche, alto quasi sei piedi, con un torso da gorilla, braccia muscolose senza essere esageratamente grosse: aveva lo sguardo franco ed ardito ed i lineamenti piuttosto fini, che indicavano in lui un discendente delle caste privilegiate della grande penisola indostana.

Il suo avversario, che si faceva chiamare il Guercio, perché mancava effettivamente d'un occhio, del sinistro, e che si era dichiarato cingalese, era assai più basso di statura, ma lo sviluppo del suo corpo era veramente enorme, assai superiore a quello dell'altro. Aveva una testa massiccia, forse troppo grossa, cogli occhi leggermente obliqui, che tradivano un miscuglio di razza; il viso butterato dal vaiuolo in modo da sembrare una vera schiumarola; un collo da toro, spalle da gigante e braccia formidabilmente muscolose, che finivano con certi pugni grossi come mazze da fucina.

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